A tu per tu con Patricia Urquiola sulla sua idea di ospitalità: un concetto a tutto tondo che passa dalla sostenibilità al senso del luogo. Ma, per favore, non parlatele di camera tipo
Ho incontrato Patricia in occasione della Milano Arch Week alla quale era stata invitata da Stefano Boeri, curatore artistico della manifestazione, a raccontare i suoi progetti. Non la conoscevo personalmente, ma solo attraverso il suo lavoro e ho scoperto una professionista appassionata e curiosa, qualità che la porta a indagare ogni minimo aspetto del progettare. Di lei mi ha subito colpito l’entusiasmo con il qualeaffrontail suo lavoro e la cura che presta a ogni minimo dettaglio, forte della doppia professione di architetto e designer.Nel corso della sua attività, molte volte si è occupata di hotellerie, da qui l’idea di approfondire il suo pensiero: dal suo primo albergo, il Mandarin di Barcellona, a il Sereno a Como, in cui per la prima volta ha studiato sia l’architettura dell’edificio che il progetto di interior.
Come deve essere, secondo te, la camera d’albergo ideale?
Funzionale e soprattutto accogliente.Credo sia importante per chi viaggia ritrovare i comfort a cui è abituato a casa propria. La stanza rimane sempre per me un limite intimo e personale, di isolamento e protezione.

Singola, doppia, tripla… Si dà sempre poco spazio alla progettazione delle camere singole, quasi mai progettate nello specifico. Normalmente è la camera doppia, che quasi per una mancanza e privazione, viene usata come singola. C’è sicuramente spazio per una riflessione: motivazioni economiche, culturali…?
Credo sia una questione economica, ma anche funzionale. Nella stessa metratura di una camera singola ci può stare un altro letto, e quindi si può sfruttare la camera sia a uso singolo che come doppia.
In quale occasione sei riuscita a progettare una camera
d’albergo singola?
Lo scorso anno sono stata invitata da Elle Decor Italia a
progettarele camere di Elle DecorGrand Hotel, un progetto-installazione che si
è tenuto a Palazzo Morando a Milano.Questo lavoro mi è particolarmente piaciuto
perché ho potuto riflettere liberamente sul concetto di camera,evitando
l’obbligo di creare la “stanza campione” seriale e ripetitiva. L’allestimento
si è articolato in una serie di ‘frammenti’, di momenti sparsi di un racconto che
interpretano le molteplici forme di vivere, intimamente, lo spazio della camera
di un Grand Hotel: la stanza per uno, per due, per tre, quattro, cinque… In
questo caso ho immaginato la stanza per uno come una stanza tutta per sé, un
frammento intimo, quasi monacale, legato all’idea di un’austerità milanese.Abbiamo
raccontato attraverso gli arredi e gli oggetti, azioni semplici e naturali: un
letto spartano per riposare e uno scrittoio per radunare i pensieri; due
tinozze vicine per le mani, il viso, il corpo; un tappeto, una sedia appesa,
una luce. E poi una banda scura che corre attorno allo spazio e raccoglie
tracce personali e infiltrazioni dal mondo esterno.

In albergo come a casa. Ma è proprio vero che è questo che si cerca in una stanza d’albergo?
È importante sentirsi bene in un luogo, che sia l’angolo della biblioteca o la lobby dell’hotel dove ci si può fermare a leggere o a lavorare, in camere con letti generosi e mobili semplici ma utili. Èfondamentale che una stanza sia accogliente e diventi un vero luogo dove rifugiarsi e stare bene. Nei miei progetti l’idea è quella di trasmettere una sensazione di piacevolezza che deriva da molti elementi: senso del luogo, senso del tempo, senso di scopo, proporzioni, empatia, contemporaneità.
Una lettura delle macrotendenze in atto che accrescono il valore dell’hospitality.
Oggi il concetto di lusso per un hotel 5 stelle consiste nella qualità del sistema costruttivo, rigorosamente sostenibile, e nel rapporto che riesce a creare con un intorno di valore. L’architettura ti riceve, ti invita nelle parti comuni, ti accompagna alle stanze, ti lascia memoria del luogo.Io amo gli hotel dove mi sento a casa, quelli che sanno risolverti i piccoli problemi pratici di ogni giorno e quelli che sono completamente in armonia con il luogo.

Come nasce il tuo progetto d’albergo e quanto conta il genius loci?
È un concetto a cui sono molto legata. Evocare un luogo geografico ma senza quasi farlo notare significa far sentire l’ospite a casa. L’ospitalità deve essere a chilometro zero, corrispondere al luogo come le case corrispondono alle persone.
Il colore: una cifra stilistica dei tuoi progetti. Quali colori ami utilizzare?
Non ho una palette preferita e predefinita, credo che ogni progetto possa avere o non avere bisogno di colore. Il colore è uno strumento progettuale che uso e cambio a seconda della situazione e della necessità. In Room Mate Giulia la scelta dei colori e dei materiali come la parete di mattoni a vista, il vetro ondulato, il marmo nella lobby e la carta da parati per esempio, riflettono perfettamente la nostra città. I colori sono un citazione e un tributo alla città di Milano.Per il Sereno di Como, invece,abbiamo scelto una palette colori che riprendesse le tonalità del lago e della sua natura per rifarci al concetto di genius loci di cuiparlavamo prima: il verde delle montagne, l’azzurro, il bronzo, i grigi…

Macro e micro: ti muovi con facilità nei cambi di scala, dall’architettura all’oggetto singolo, dal contenitore all’elemento. Mi viene in mente la vasca Vieques progettata per il WVieques di Porto Rico, solo per fare un esempio. Quanto entri nel dettaglio del progetto?
La mia doppia professione di architetto-designer mi aiuta in questo, nel design c’è un tema affettivo, un quid che sta vicino alla tua pelle, alla tua quotidianità. Personalmente, quando penso un oggetto, lo immagino calato nella vita di ogni giorno, opero delle piccole esplorazioni domestiche, cerco di entrare nelle fessure dei bisogni, delle emozioni.
Urquiola designer, Urquiola architetto. Come ti piace raccontarti?
Mi
piace definirmi progettista. Un termine che comprende più aspetti. Un
progettista
deve lavorare alla ricerca di una poetica inclusiva, rendendo il committente
parte attiva del progetto, così da conferire un carattere unico a ogni
prodotto. Architettura e design sono due professioni molto diverse anche se mi
sono laureata al Politecnico con una tesi a cavallo tra design e architettura.
Nello studio incrociamo continuamente bisogni che nascono dall’architettura e
ci portano a soluzioni di design, e i clienti di design finiscono molte volte
per chiederci di partecipare ai loro bisogni architettonici: installazioni,
showroom o altro. Ma, in definitiva, il design mi procura una sorta di felicità
nel lavoro di prototipazione che se fai architettura non puoi permetterti.
Forse perché amo l’agilità del piccolo.

Un progetto d’hotel al quale ti senti particolarmente legata e perché.
Sono legata a tutti, sono stati lavori importanti, diversi tra loro ma ognuno con il proprio carattere e una coerenza progettuale. Con il MandarinOriental di Barcellona ho scoperto ‘l’incubo di disegnare la stanza tipo’, cui mi sono opposta recuperando splendide piastrelle di tradizione catalana. Al DasStue Hotel di Berlino ho invece iniziato a esplorare l’ibridazione tra spazio pubblico e intimità. Il Room Mate Giulia di Milano mi ha permesso di fare un tributo alla città dove ho scelto di abitare. Il Sereno sul Lago di Como è stato il mio primo lavoro a 360 gradi, ho progettato tutto, dall’architettura dell’edificio fino al più minimo dettaglio: mi sono battuta anche per scegliere il tipo di pietra da utilizzare nell’architettura e negli interni. L’intenzione era quella di creare una sorta di santuario contemporaneo dall’eleganza senza tempo, data dalla scelta di materiali naturali, attenzione ai dettagli. Un arredamento raffinato e sobrio ma lussuoso, ispirato dai paesaggi del lago, elementi di genius loci. Abbiamo voluto creare una vera e propria oasi di pace, un rifugio che promette relax e privacy. Il Sereno ha anche ottenuto la certificazione Casa Clima, grazie ai materiali usati e al sistema di risparmio energetico e di illuminazione utilizzati.

C’è un filo conduttore che lega i tuoi progetti hospitality?
Penso un ambiente nella sua totalità, l’impatto emotivo che deve dare a chi lo vive e, partendo da questo, sviluppo la mia visione del progetto fino al più piccolo dettaglio. L’attenzione nella scelta dei materiali e l’importanza del genius locisono fondamentali per me in qualsiasi progetto, non solo in quelli hospitality. Presto inoltre particolare attenzione alle aree comuni, sono quelle che decretano il successo di un Grand Hotel. I luoghi dove le persone si incontrano, nascono relazioni e si aprono discussioni. Mi piacciono i saloni, anche nelle case sono le mie stanze preferite.