Michael Anastassiades è per tutti IL designer della luce, ma dice che è inguaribilmente attratto da ogni forma di creatività e sperimentazione. Lo abbiamo intervistato a Parigi, all’ultima edizione di Maison&Objet
Designer of the year all’ultima edizione di Maison&Objet, Anastassiades è una vera star nel design e collabora con aziende prestigiose come Flos, B&B Italia, Herman Miller, Cassina e Salvatori, solo per citarne alcune.

Il suo credo è la semplicità: “La mia formula”, conferma, “è quella di lasciare le cose più semplici possibili. Punto all’assenza di informazioni: ne siamo continuamente bombardati. Così procedo levando tutte le informazioni possibili dall’oggetto, rimuovo uno strato dopo l’altro, tolgo tutto quello che produce confusione e quello che scelgo di tenere è davvero l’essenziale: in questo modo, a mio avviso, un oggetto riesce davvero a catturare l’essenza di quel che deve esprimere”.

La semplicità è, tuttavia, solo apparente, Anastassiades sceglie forme, segni e volumi sobri, come una linea, un cerchio o una sfera, ma il procedimento per arrivare all’essenziale, come spiega, è complesso anche perché “la tecnologia deve rimanere invisibile. Ed è pure, naturalmente, una questione di proporzioni: cerco di assicurarmi che gli oggetti non incutano timore e proprio l’equilibrio delle proporzioni fa sì che ci si senta sempre rassicurati”. I suoi Chandelier mobile, per esempio, per la prima volta presentati tutti e sedici a Maison&Objet, fanno interagire lucentezza, equilibrio e disequilibrio: “l’equilibrio è essenziale in tutto. Forse devo questa ricerca di armonia anche alla mia relazione con lo yoga (di cui sono stato anche professore): lo yoga punta all’equilibrio e il vantaggio di questa disciplina è che, quando fai qualcosa, ne senti immediatamente i benefici. Insomma, per me yoga e design sono intimamente connessi”.

Ma torniamo al principio: Anastassiades, nato a Cipro, si è trasferito a Londra nel 1988 per studiare ingegneria civile. “Ho detestato tutto quello che studiavo”, confessa, “ma è stata un’esperienza importante e alla fin fine credo che dentro di me si nasconda un ingegnere. Tra l’altro questa caratteristica mi aiuta per l’aspetto pratico della creazione, perché io ho bisogno di capire una cosa per crearla: l’inizio, la pagina bianca, il primo tratto di matita, sono la parte più difficile del lavoro”. Evidentemente, tuttavia, il destino di Anastassiades doveva condurlo altrove, così, al diploma in ingegneria segue il master in industrial design engineering al Royal College of Art “e da allora sono un designer”, dice sorridendo.

Sin dal 1994 ha cominciato a lavorare in proprio “perché non è che ci fosse molta scelta e anche perché volevo essere libero” e nel 2007 ha dato vita al brand che porta il suo nome. I suoi primi oggetti, quelli che lo hanno reso famoso, sono lampade: “la luce è molto poetica, ispira, è in qualche modo un oggetto particolare. Una lampada ha due dimensioni completamente differenti: spenta e accesa. Quando è spenta è come una scultura, ma quando la si accende tutto cambia: nascono le ombre e succede qualcosa. La mia prima lampada, l’Anti-Social Light, per esempio, si accende solo quando c’è un silenzio assoluto. Se si comincia a parlare, la luce si affievolisce pian piano e poi si spegne completamente. Se si tace, la luce riappare gradualmente. Vicino a questa lampada, bisogna, insomma, stare in silenzio. In seguito ho progettato anche la Social Light, che funziona all’inverso: bisogna parlare per poterla accendere. La luce è, insomma, un progetto di predilezione: mi affascina ed è, per me, un modo di comunicare senza sforzo”.

Dal 2007 comincia anche a collaborare con Flos e Piero Gandini “mi ha dato sostanzialmente carta bianca: è incredibile avere il sostegno totale a un progetto e poter disporre dei mezzi di un’azienda come Flos: mi hanno fornito gli strumenti e la tecnologia che da solo non potevo permettermi e mi hanno concesso di superarmi. Il design ha dei limiti, certo, ma sta a noi definire libertà e limiti e spetta ancora a noi trovare il modo di superarli”.

E la sua ambizione come designer? “Voglio durare: è la mia visione della sostenibilità. Perché pensare in termini di riciclabilità? Preferisco che le cose durino nel tempo, punto al lungo termine”. Obiettivo sostanzialmente raggiunto: Michael Anastassiades fa già parte a pieno titolo della storia del design e le sue creazioni sono esposte nei musei più importanti del mondo, dal MoMA di New York all’Art Institute di Chicago passando per il Victoria and Albert Museum di Londra e il Museo di arti applicate di Vienna.