Protagonisti
Marcel Wanders

Creativo, poliedrico, emozionante. MARCEL WANDERS è lo specchio delle sue creazioni. E le sue creazioni ci raccontano una straordinaria capacità di trasformare forme, colori, materiali in esperienze. Che durano nel tempo

“Non mi interessa creare cose nuove, mi interessa creare cose entusiasmanti”. Comincia così il nostro incontro con Marcel Wanders, uno dei designer più originali e poliedrici della sua generazione. E anche uno dei meno incasellabili. Più di un product designer autore di oggetti straordinari e iconici, più di un interior designer artefice di opere ai confini con l’installazione d’arte, più della mente creativa alle spalle di uno degli studi di design più prestigiosi al mondo. Ma soprattutto, variegato e multiforme. Come variegata e multiforme è la nostra conversazione, che spazia dagli aspetti più pratici della professione a un “umanesimo del design” in cui la consapevolezza del passato è importante, anzi indispensabile, per proiettarsi nel futuro.

Marcel, cos’è per te la creatività?

Innanzitutto un mezzo per esprimere i valori in cui credo. Le nostre qualità umane, la nostra storia, il futuro che immaginiamo sono la parte più profonda della nostra esistenza, e per chi fa il mio mestiere è naturale volerli trasferire anche al mondo che ci circonda.

Ti formi e nasci innanzitutto come designer di prodotto. Come sei passato al mondo dell’interior design?

Ho speso i primi 15 anni della mia carriera nel mondo dell’industrial design, è vero. Nel 2001, però, ho sentito la necessità di fare un passo più in là, di qualcosa di più grande e complesso. All’inizio ero convinto che la differenza fosse soprattutto di scala, ma che il processo creativo non fosse diverso. Ma quando ho cominciato a misurarmi davvero con l’interior design ho scoperto molto presto che si trattava di un mondo completamente differente.

Quali sono le differenze e le somiglianze? Ci sono dei punti in comune o si tratta di processi creativi del tutto diversi?

Per disegnare un oggetto servono due cose: un’idea, e la capacità e creatività per svilupparla fino alla perfezione. È un po’ come realizzare una scultura: scegli la tua pietra, nella mente hai già l’immagine di quello che la materia grezza contiene, e passo dopo passo levi il superfluo fino a portare quell’immagine alla luce. Un progetto d’interni invece è come un’opera lirica: si alza il sipario, si accendono le luci, la soprano entra al centro della scena, gli strumenti e il coro eseguono la loro parte… non è una sola idea, sono mille, e tutte devono seguire il ritmo e l’armonia dettate dalla tua creatività. È un processo complesso, poliedrico, in cui la perfezione è sempre a portata di mano e allo stesso tempo sempre inafferrabile. Ed entusiasmante.

Da dove parti nel progettare gli interni di un hotel?

Voglio prima di tutto capire dove mi trovo. In ogni senso, fisico, estetico, culturale, emozionale. Visito la location, cerco di leggere i suoi spazi, i suoi vincoli e le sue opportunità, faccio ricerca sull’arte locale, i suoi linguaggi cromatici e materici. Ma soprattutto visito i luoghi, incontro le persone che li vivono, cerco di respirare la loro aria, di catturarne lo spirito più vero. Non per realizzarne una replica ma per creare un’esperienza, autentica e al tempo stesso inedita, che spinga chi viaggia a desiderare di viverla. Fra i miei progetti, il Mondrian di Doha è probabilmente uno degli esempi più efficaci di questo processo creativo.

Il sense of place…

Esatto. Come farne a meno? Un oggetto può, anzi deve sapersi adattare a diverse situazioni. L’interior design di un hotel deve invece riflettere e interpretare la location. Come mi ha detto proprio un ospite del Mondrian, se volo da New York a Doha quando entro in camera voglio sentirmi a Doha, non a New York. Ed è una sfida. È una sfida perché se da una parte devi catturare l’autenticità dei luoghi, dall’altra l’esperienza dell’ospite deve anche essere qualcosa di nuovo e di unico. Come designer, per giocare creativamente sul filo di questo equilibrio devi attingere all’atmosfera, alla cultura, ai colori, ai materiali, farli tuoi e usarli come ingredienti di un’esperienza inedita.

Qual è la parte più difficile di questo viaggio creativo?

Creare l’interior design di un hotel è come trovarsi al centro di una reazione a catena. Raccogli informazioni, insegui le tue idee, le sviluppi, dopo un anno hai un primo concept sufficientemente organico. Poi arrivano le osservazioni e le modifiche del cliente. E tutte queste osservazioni e modifiche innescano cambiamenti su un gran numero di aspetti ed elementi del progetto. Che essendo una coralità di idee interconnesse reagisce a ogni stimolo creativo come un organismo vivente. Tremendamente complesso. E tremendamente entusiasmante!

Hai detto “non voglio essere un interior designer, voglio creare destinazioni“. Cosa significa questo per te?

Che il mio lavoro non è scegliere gli arredi e i decori d’interni, il mio lavoro è motivare viaggiatori che arrivano da ogni parte del mondo a vivere l’esperienza di soggiornare negli hotel su cui lavoro. Anche una sola volta nella vita. Anche solo per poter dire di esserci stati. Una sedia, una poltrona, un tavolo, un letto, sono necessità primarie che qualsiasi designer d’interni può gestire. Creare un’esperienza di viaggio è qualcosa di molto diverso. Certo, la funzionalità è importante, è uno dei pilastri del design. Ma la funzionalità non è la ragione per cui scegliamo le cose. Non tutte, almeno. Può essere la ragione per cui ci serve una sedia, ma non la ragione per cui vogliamo quella particolare sedia. Può essere la ragione per cui scegliamo un hotel, ma non la ragione per cui scegliamo quel particolare hotel.

Qual è in questo senso l’area più importante di un hotel?

Quella che vive e rimane nella nostra mente. Quella che portiamo a casa dopo un viaggio. La sua memoria, le emozioni che ci ha fatto provare. La persona e le sue esperienze sono al centro di tutto. Anche del mio lavoro di progettista. Tutto il resto è contorno.  

Anche il lusso?

Cos’è il lusso se non un’esperienza, e un’esperienza del tutto personale e individuale? Non c’è nulla di materiale in tutto questo. Ancora una volta sono l’individuo, la sua personalità e le sue esperienze i veri protagonisti.

Hai anche detto “nulla invecchia più rapidamente del nuovo“. Cosa significa questo per il tuo lavoro di creativo?

Significa innanzitutto che se l’unico senso e valore è la ricerca del nuovo a tutti i costi, l’esito di questa ricerca sarà vecchio un attimo dopo essere stato creato. E a me non interessa questo, a me interessa creare oggetti, ambienti, luoghi che abbiano valore. Un valore riconoscibile, e di cui tutti possano avere esperienza. E questo per me non si può ottenere prescindendo dal passato, da ciò che ha una storia da raccontare. È il motivo per cui in tanti miei progetti ricorrono suggestioni delle nostre radici culturali, estetiche, artistiche, quasi delle metafore per ricordarci chi siamo e da dove veniamo. È nel senso del tempo che troviamo il valore delle cose, e solo quelle che hanno un passato hanno anche un futuro.