Protagonisti
David Rockwell

Drama è il nuovo libro di David Rockwell, pubblicato da Phaidon New York. Una monografia nella quale racconta il suo universo creativo. Un mondo animato dalle regole del teatro e della perfomance

Visitare gli uffici di Rockwell Group a New York, è un po’ come un viaggio nei retroscena di un teatro, un’officina dove le trame narrative, i sentimenti e le passioni umane si trasformano in spazi costruiti. Ci sono interi inventari di tessuti, pietre, legni, laboratori artigianali, modellini di carta pesta ovunque. I computer non occupano lo stage principale. C’è testa, immaginazione, cuore.

Riconosciuto per la sua capacità di dare a hotel e ristoranti un volto e un’anima unica e distinguibile, David Rockwell ha realizzato tanti altri progetti come musei, uffici, spazi di lavoro condiviso e, soprattutto, set teatrali per i piu famosi show di Broadway. In quest’ultimo anno Rockwell ha firmato il set per la 93esima cerimonia degli Oscar, celebratasi dentro lo storico union Station di Los Angeles, e ha portato a compimento il suo ultimo libro, Drama, dove racconta in modo profondo e dettagliato il suo processo simbiotico con il mondo del teatro.

Figlio di una ballerina e coreografa Vaudeville, David Rockwell è stato immerso sin da piccolo nello spirito e nel passo delle arti perfomative, un mondo che è immediatamente confluito nel sua pratica di design. In Drama racconta in modo appassionato il modo in cui la seduzione del teatro si possa instillare nell’architettura per ottenere uno spazio magnetico e dinamico, in grado di catturare “l’audience” di un progetto.

Drama sembra un libro più complesso e stratificato dei precedenti. Cosa rappresenta nella tua esperienza creativa e di vita?

Penso che questo libro implichi l’aver lavorato una vita intera, nel senso che è un volume che articola il modo in cui i principi fondamentali del mio design si sono continuamente intersecati con il teatro. Non è una monografia tradizionale, sicuramente. Con la guida di Bruce Mau e dell’editore Sam Lubell, abbiamo strutturato il libro attraverso vari progetti realizzati da Rockwell Group visti attraverso la lente del teatro. Abbiamo anche inserito progetti di altri studi, che comunque si allineano con l’idea della performance teatrale, e inoltre interviste con leader di varie discipline creative che mi hanno sempre ispirato, come Quincy Jones, l’attrice Anna Deavere Smith o lo chef José Andrés. In generale, il libro vuole sondare l’incontro tra l’umanità e il design.

Storytelling: oggi è un termine piuttosto abusato. Cosa significa per te questa parola e come si riesce a mantenere vivo e vero lo storytelling?

Il design è un viaggio esaltante, che dovrebbe sempre creare un impatto sulle persone, e dove intuizione e conoscenza dovrebbero sempre intrecciarsi per dare vita ogni volta a un nuovo tessuto narrativo. Lo storytelling è una scorciatoia per descrivere un processo complesso che inizia da una ricerca dettagliata e profonda. A me interessa capire soprattutto in che modo i nostri progetti saranno vissuti dalle persone, come verrano percepiti da chi li attraversa e li abita nel quotidiano. Per me il design deve essere accessibile, facilmente comprensibile, o direttamente, attraverso una qualche forma di ragionamento, o emotivamente, attraverso la percezione. Penso che il design debba comunicare l’idea che sta alla base di quel progetto, un retroscena che gli dia ragion di essere. Più di ogni altra cosa penso che un design debba essere memorabile. Questo è quello che ho imparato attraverso il teatro. Bisogna catturare l’attenzione dell’utente finale del progetto, ossia dell’audience, altrimenti il lavoro fatto è un fallimento.

Qual è in dettaglio il processo creativo ma anche logico e funzionale che usi per creare un’esperienza teatrale nel design? Ci sono elementi specifici che trasponi dal mondo del teatro nell’ospitalità?

Non esiste una formula fissa. Iniziamo sempre ogni progetto facendo molte ricerche. Però, sicuramente, ci sono strumenti del teatro che si prestano a creare un design di successo, come l’idea di transizione all’effimero. Il teatro mi ha davvero mostrato quale sia il potere delle idee e i tanti modi per esprimerle. Un singolo copione, una sceneggiatura o un libretto possono essere espressi in modi infiniti. Mi sono reso conto di come il teatro sia essenzialmente un’esperienza sociale condivisa, una comunità che si crea istantaneamente. Tutto il mio lavoro cerca il modo per incoraggiare questa connettività. Allo stesso modo avverto anche il design come un’esperienza sociale, un mezzo di comunicazione, un processo collaborativo per creare un universo estetico guidato dall’immaginazione.

Puoi fare un esempio relativo ai tuoi ultimi progetti?

Nel caso dei ristoranti per esempio, ci chiediamo sempre quale sia il punto di vista del proprietario o dello chef, che cosa la location debba raccontare, quale il mondo che stiamo creando. In poche parole qual è lo script. Wayan, per esempio, ha aperto da pochissimo a Soho. È un ristorante di ispirazione indonesiana, aperto da Cédric Vongerichten, figlio del famoso chef Jean Georges, e dalla moglie Ochi. Il menu combina la cucina indonesiana con un tocco francese. L’idea su cui abbiamo lavorato è quella di uno street market orientale, dove l’energia arriva dal cibo e dalla sua presentazione. Abbiamo realizzato una cucina aperta e lavorato molto sull’illuminazione. Volevamo ottenere una luce rarefatta e allo stesso tempo raffinata e immersiva. Abbiamo puntato su luci filtrate da paraventi lignei e applique fatte ad hoc, e l’effetto luce ottenuto sembra raccontare al pari la suggestione del mondo indonesiano e di quello francese.

Nei tuoi uffici ho visto veri e propri laboratori, “biblioteche” di materiali, un’infinità di piccoli modelli per scenografie teatrali. Fate tutto in-house o lavori con artisti e artigiani esterni?

Siamo fortunati ad avere molte risorse creative sotto lo stesso tetto: un laboratorio per i modelli e uno tecnologico, designer teatrali e addirittura anche un “bibliotecario” dei materiali. Ma collaboriamo sempre anche con artisti esterni, artigiani, light designer, e anche altri architetti. Queste relazioni sono molto importanti, se non fondamentali, per il successo dei nostri progetti. Ci aiutano a espandere le nostre idee e capacità, e a rinnovarci continuamente.