Progetti
Progetto e regia

Sotto la direzione dell’archistar Sou Fujimoto (ri)nasce un albergo fuori dagli schemi. Con interventi di Michele De Lucchi, Jasper Morrison e Leandro Erlich

Nel dicembre 2020 ha riaperto a Maebashi lo Shiroiya Hotel, completamente rinnovato su progetto di Sou Fujimoto Architects. L’hotel, chiuso nel 2008, ha condiviso le vicissitudini della città, che fu un importante centro di produzione e commercializzazione della seta fino alla seconda guerra mondiale, quando le industrie tessili vennero riconvertite alla produzione bellica e più della metà del centro urbano venne distrutto dal bombardamento del 5 agosto 1945. Shiroiya nasce durante il Periodo Edo (1603-1868) come ryokan – locanda tradizionale giapponese con pavimenti in tatami, futon e onsen, il tradizionale bagno termale giapponese – demolito negli anni Settanta per far posto a un business hotel in calcestruzzo piuttosto anonimo.

Hitoshi Tanaka lo acquista nel 2014. Originario di Maebashi, Tanaka è proprietario di Jins – colosso dell’eyeware le cui collezioni sono disegnate, fra gli altri, da Jasper Morrison, Michele de Lucchi e Kostantin Grcic – ed è da tempo impegnato nella valorizzazione della sua città natale, processo per il quale reputa importante il rilancio di Shiroiya Hotel. Affida così il progetto a Sou Fujimoto – conosciuto da Tanaka nel 2002 per il progetto di un negozio poi non realizzato – il quale nel frattempo ha realizzato proprio a Maebashi la T house (2005), una fra le sue opere più importanti. Progetto e realizzazione dureranno sei anni, e sarà necessario raddoppiare il budget inizialmente previsto, ma il risultato ottenuto è notevole, grazie anche a una tempistica poco compressa, più favorevole all‘attività di progettazione.

Il progettista e il committente optano per mantenere la costruzione esistente: dell’edificio degli anni Settanta – rinominato Heritage Tower – Sou Fujimoto conserva la struttura e la facciata su strada, aggiungendo un secondo volume a forma di collina ricoperto dalla vegetazione – la Green Tower – e riducendo a 25 il numero di camere. Ritorna così, in un contesto mutato, quella capacità di prendersi cura degli ospiti caratteristica dei ryokan, che nel nuovo Shiroiya si traduce in un’architettura d’eccellenza, nella presenza di opere d’arte e nel ristorante dello chef Hiro Katayama.

Sou Fujimoto, nato nel 1971 a Hokkaido, è architetto di fama internazionale. A differenza della maggior parte dei suoi colleghi giapponesi non ha mai lavorato nello studio di un maestro della generazione precedente – esperienza ritenuta in Giappone di fondamentale importanza per lo sviluppo di una carriera di primo piano – ritornando dopo la laurea a Hokkaido, dove nella prima metà degli anni Duemila costruisce due piccoli edifici: una casa per persone con disabilità mentali e un centro per bambini con disturbi emotivi, entrambi con un approccio radicalmente innovativo.

Fujimoto descrive il suo metodo “architettura debole”: non si tratta – a suo dire – di fare architettura a partire da un ordine generale ma a partire dalla relazione fra ognuna delle parti, ottenendo un ordine che incorpora l’incertezza o il disordine. Un’architettura instabile e viva dove i concetti tradizionali di interno ed esterno, urbano e domestico, natura e costruzione sfumano uno nell’altro piuttosto che contrapporsi. In Europa è conosciuto per essere stato il più giovane architetto a realizzare un padiglione per la Serpentine Gallery – The Cloud – e per aver realizzato a Montpellier l’Abre Blanc (2014-2019), una torre residenziale caratterizzata da un numero inusuale di terrazze a sbalzo.

Nel progetto per Shiroiya l’approccio di Fujimoto è evidente nell’inaspettata presenza della collina e nella relazione fra questa e i piccoli volumi bianchi a forma di casa che vi si appoggiano. Ma Fujimoto ha svolto anche un ruolo registico, ben più ampio di quello solitamente assegnato all’architetto, includendo nel progetto interventi di designer e artisti giapponesi e internazionali. Le camere sono state progettate – oltre che da Fujimoto – da Michele De Lucchi, Jasper Morrison e Leandro Erlich. De Lucchi e Morrison hanno optato per utilizzare il legno ed esaltarne le qualità, mentre l’artista argentino Erlich ha proposto un intreccio di tubi metallici a soffitto e lungo le pareti che ricorda le reti impiantistiche. Sempre Erlich, sullo stesso tema, ha realizzato le Lighting Pipes, un intervento di illuminazione site specific per gli spazi interni comuni. È comprensibile dunque come un simile approccio ben completi l’architettura debole di Fujimoto.

Le opere d’arte accolgono i visitatori a partire dall’ingresso, con gli interventi di Lawrence Weiner, uno dei padri dell’arte concettuale, e del fotografo Hiroshi Sugimoto. Un ultimo accenno va al ristorante: è stato realizzato su progetto di Esquisse, con una cucina aperta circondata su tre lati da posti a sedere dai quali è possibile assistere alla preparazione dei cibi, riproponendo su scala ridotta l’esperienza del Florilege di Tokio, classificato fra i dieci migliori ristoranti d’Asia, il cui chef Hiroyasu Katawe ha lavorato in stretto contatto con Hiro Katayama per costruire il menu iniziale di Shiroiya.