L’archetipica piazza della polis greca è il principio ispiratore che lo studio SCEG di Torino ha utilizzato per progettare un insolito ufficio legale. Uno spazio metafisico, dominato dalla geometria e dal colore
In greco antico il termine agorà significa “raduno”, “incontro”, ed è il termine usato dalla Magna Grecia per indicare la piazza principale della polis: luogo politico, giuridico, religioso ed economico.

Questo è stato il punto di partenza principale utilizzato dallo studio SCEG Architects di Torino per concepire un ambiente di lavoro moderno per uno studio di avvocati. Un concept per certi versi spiazzante e inatteso che interpreta e traghetta il classicismo nel mondo contemporaneo.

E uno spazio che è stato progettato come un luogo archetipico, legale e assoluto come l’agorà, ovvero la cui gli uomini dell’antica Grecia cominciarono a esercitare le discipline giuridiche.

Un office che è un vero e proprio coupe de theatre, e che ben rappresenta la filosofia progettuale di SCEG, studio di architettura e design fondato dalla greca Eirini Giannakopoulou e dal torinese Stefano Carera.

Coppia di talentuosi che hanno firmato interni scenografici e teatrali, sempre dominati dal colore, denso e saturo, definito con decisione in ambienti sospesi tra forma e funzione, progettati per stupire e, soprattutto, per emozionare.

Un colore che non viene utilizzato solo per decorare ma anche per comunicare in modi simbolici e rituali.

Nasce così questo ufficio quasi metafisico, nel quale le geometrie, che si considerano eterne e patrimonio della memoria, diventano effimere ed evanescenti, leggere e ironiche.

Una scenografia che è stata realizzata e composta da volumi di gomma – nello specifico poliuretano – rivestiti con fogli laccati e definiti con strutture metalliche. Un arredo iconico che crea un inaspettato momento di suspense.

Il colore copre quasi l’intero spazio e l’arredamento rendendolo irreale e innaturale. Questa monocromia dialoga direttamente con la forma, la materia, la luce e la dimensione creando uno scenario plastico e statico, ai limiti del surreale.

Osservando questa piazza vuota il rimando alle piazze, agli archi e ai portici di De Chirico è immediato, ma anche a un certo immaginario surrealista, suggerito anche dalla presenza di una scultura dell’artista Michele Rizzo ispirata a Giacometti.

Una figura umana stilizzata che emerge dal vuoto, isolata nello spazio, che amplifica l’effetto stupore e rende ancor più onirico e astratto un ambiente nel quale anche i libri diventano segni e decori, sospesi tra materiale, immateriale e virtuale.

Un progetto insolito che trasporta lo spettatore e lo invita a esplorare i concetti di spazio, vuoto e infinito.
