Crossover
Un universo modulare

Dallo stabilimento alla residenza Buchli fino al celebre sistema di arredi entrato di diritto nella Design Collection del MoMA. Fin dagli Anni 60 la storia di USM parla di moduli, prefabbricazione e di un inscindibile rapporto fra architettura e arredi

Una sferetta metallica dal diametro di 25 millimetri è protagonista del design degli ultimi cinquant’anni. Ma questa sarà la conclusione della nostra storia, che parla di moduli, prefabbricazione e del rapporto fra architettura e arredi. Siamo agli inizi degli Anni 60 quando Paul Schärer jr., nipote del fondatore della Ulrich Schärer Münsingen – USM, dopo essersi laureato in ingegneria all’ETH di Zurigo entra in azienda. Fondata a Münsingen, vicino a Berna, nel 1885 come ferramenta e officina per la lavorazione dei metalli, negli Anni 20 USM si specializza nella produzione di accessori per serramenti e successivamente estende la produzione alla lavorazione delle lamiere.

Con la decisione di realizzare uno stabilimento completamente nuovo, successiva all’ingresso di Paul Schärer, l’azienda compie un passo decisivo verso la produzione industriale. A essere incaricato del progetto, nel 1960, è Fritz Haller (1924-2012), un architetto di trentotto anni nato a Solothurn (in italiano Soletta), che ha lavorato nel 1948-1949 a Rotterdam nello studio di Willem van Tijen – protagonista con Jacob Berend Bakema del funzionalismo olandese del dopoguerra. Haller fa parte della cosiddetta Scuola di Soletta – il movimento svizzero che ha contribuito alla sviluppo dell’architettura in acciaio e vetro – e ha già costruito alcuni edifici scolastici, caratterizzati da una composizione che valorizza gli aspetti volumetrici.

L’architetto interpreta magistralmente il brief del progetto, realizzando per USM una struttura modulare in acciaio che può essere ampliata a piacimento assecondando la crescita dell’azienda. Negli stessi anni Fritz Haller e Paul Schärer approfondiscono il tema della costruzione modulare e sviluppano Mini, Midi e Maxi, sistemi di costruzione in acciaio, che USM produrrà fino al 1994, adatti, rispettivamente, per la realizzazione di capannoni (Maxi), edifici a due piani (Midi) ed edifici a un piano (Mini).

Siamo in un periodo in cui la ricerca sulla modularità e le sue potenzialità appassiona i progettisti a tutte le scale, dall’arredo fino alle cupole geodetiche di Richard Buckminster Fuller. Lo stesso Fritz Haller sarà chiamato nel 1968, per via delle sue ricerche, negli Stati Uniti da Konrad Wachsmann – uno dei pionieri della prefabbricazione – come guest professor all’Institute for Building Research all’University of South California. In realtà l’approccio ha precedenti illustri, a partire dal Crystal Palace di Joseph Paxton per l’esposizione universale di Londra del 1851, primo edificio moderno costruito con elementi prefabbricati, prodotti in serie, smontabili e riutilizzabili. Una logica di pelle e ossa, struttura e rivestimento, che possiamo far risalire alle cattedrali gotiche, con le quali gli edifici e gli arredi di Haller condividono l’idea di armonia e dignità, di grazia nella semplicità.

Realizzato lo stabilimento, Fritz Haller e Paul Schärer concepiscono nel 1963 una linea di mobili, pensata in un primo momento per soddisfare le esigenze dell’azienda, che verrà prodotta in serie dal 1969 e diventerà un’icona del design. Sempre nel 1969 Fritz Haller completa, su una collina nelle immediate vicinanze dello stabilimento, la residenza privata della famiglia Schärer, conosciuta come Buchli – “breve e dolce” dal nome del terreno in lingua svizzero tedesca – realizzata con il sistema USM Haller MINI. L’edificio si affaccia sui locali dell’azienda ed è costruito su una griglia strutturale con ritmo 2:5:2:5:2. Al piano terra, prevalentemente aperto, il modulo centrale accoglie l’ingresso con la scala a chiocciola, che sbarca al piano superiore in fronte alla cucina. Su questo livello si sviluppano da un lato le camere, dall’altro la sala da pranzo e il soggiorno, mentre al piano seminterrato si trovano un ufficio e la camera per gli ospiti. Il volume è scandito dalla larghezza – 1,20 metri – delle finestrature.

Oggi, dopo decenni di sperimentazioni, con il moltiplicarsi degli stili di vita e delle soluzioni abitative, questa casa in vetro senza porte e con le finestre fisse non ci stupisce, se non per il suo approccio disinvolto alle necessità di privacy. Ma alla fine degli Anni 60 doveva apparire almeno altrettanto sorprendente della sua sorella più famosa, Casa Farnsworth di Ludwig Mies van der Rohe (1945-1951). A differenza di quest’ultima però – che rimane un edificio eccezionale a partire dalla sua relazione con il paesaggio – Buchli si propone con un prototipo molto più accessibile, dimostrazione di un sistema costruttivo standardizzato che si può adattare a tutti i contesti, come il pendio di Münsingen, considerato dallo stesso Fritz Haller un sito di costruzione particolarmente complicato. Buchli viene ultimata in concomitanza con l’inizio della produzione dei mobili USM, che difatti vengono impiegati nell’arredamento, completando, come fossero piccole architetture nate dalla medesima logica, l’universo modulare della casa.

Come nasce il sistema d’arredi USM? Fritz Haller e Paul Schärer partono da un assunto: negli uffici la funzione dei pallet dello stabilimento è svolta dai vassoi portadocumenti, e di ciò si deve tener conto nella progettazione degli arredi. In breve tempo producono una serie pilota, con telai e contenitori in legno. Solo successivamente, osservando gli scaffali danesi per magazzino Abstracta utilizzati in azienda, mettono a punto un sistema modulare aperto, basato sul principio della costruzione a telaio, con elementi di supporto, rivestimenti e componenti interconnessi fra loro. Ciò che darà vita a un’icona del design – entrata nel 2001 nella Design Collection del MoMA – è, a detta di Haller, qualcosa a cui in un primo momento non si era pensato. Ma il clima culturale dell’epoca va in quella direzione: produzione industriale e adattabilità alle esigenze dell’utenza, estetica lineare, facilità di trasporto e di montaggio sono gli obiettivi dei designer e delle aziende innovative. Basti pensare che il Flat-pack di Ikea – l’imballaggio piatto che contiene i pezzi da montare e che ha fatto la fortuna del marchio svedese – è utilizzato a partire dal 1956.

Il sistema d’arredo USM Haller consiste in pochi elementi metallici: tubi, un giunto sferico e pannelli in lamiera verniciati a polvere. Il giunto – la nostra sferetta in ottone cromato da 25 millimetri – è il vero protagonista: il sistema può essere percepito come un insieme di linee e superfici grazie al fatto che la sfera è solo trascurabilmente più grande dei tubi. Come in ogni opera dove è importante la tettonica – ovvero il principio secondo cui tutte le forme risultano modellate dalle leggi della statica e dalla qualità dei materiali – è l’elemento di giunzione a rendere ragione delle qualità estetiche del manufatto.

Torniamo per finire al Buchli. È stato utilizzato come abitazione fino ai primi Anni 2000, per essere poi adibito a uffici. Nel corso della sua vita gli interventi di manutenzione si sono concentrati prevalentemente sulle tinteggiature degli elementi esterni. Quando la proprietà ha dato avvio ai lavori generali di ristrutturazione, gli scavi hanno messo a nudo parti della struttura danneggiate dalla corrosione – sulle quali non era possibile intervenire in loco – e le rilevazioni sulla qualità dell’aria valori della formaldeide superiori al consentito. Si è così deciso di smantellare temporaneamente l’intera struttura d’acciaio e di rinnovare e ripristinare le singole parti in officina. Il Buchli è stato adattato, prima di rimontarlo, alle esigenze contemporanee ambientali e di comfort, nel rigoroso rispetto delle sue caratteristiche originarie. I lavori si sono conclusi nel 2019, restituendo in ottima forma un edificio protagonista della storia dell’architettura. E, come abbiamo visto, anche della storia del design.