Intervista a Barbara Minelli, founder dell’agenzia di comunicazione BMCO
Proseguono le nostre interviste alle agenzie di comunicazione. L’ottava puntata è dedicata a Barbara Minelli, fondatrice di BMCO, studio di comunicazione con base a Milano che annovera fra i suoi clienti Alessandro Zambelli Designstudio, Chiara Maspero/Quadrature Interiors, ConteBed, Francesco Meneghello Interior Design Studio, Guglielmi Rubinetterie, Kristalia, La Nordica Extraflame, Osram-Ledvance, MD House e Nube
I tuoi inizi sono particolari, se paragonati ad altre realtà di comunicazione
Vero, mi posso definire una figlia d’arte. Credo che mia madre, Diana Banfi, sia stata la prima PR italiana nel settore del design, avendo fondato il suo omonimo studio nel 1975. E io sono cresciuta respirando, letteralmente, questo ambiente, conoscendo e poi frequentando sia le colleghe di altri studi sia le giornaliste. Di formazione, però, sono un architetto, tutt’ora iscritto all’Ordine degli Architetti di Milano. E, ultimo ma non ultimo, ho un carattere fortemente empatico e proattivo. L’unione di queste tre caratteristiche mi permette di avere uno sguardo molto ampio, direi anche a 360°, sul settore dell’arredamento e del design nel suo insieme. E ognuno di questi aspetti, ogni lato di questo triangolo, è andato a plasmare anche il mio lavoro saldandosi l’uno con l’altro, tanto che non so se sia possibile dire che uno è più importante dell’altro. Quello che sicuramente mi fa piacere, e mi conferma che sono sulla giusta strada, è che più di una volta sono stata chiamata a collaborare con aziende che avevano ricevuto il mio contatto dai miei stessi clienti, soddisfatti del mio modo di lavorare.
Raccontaci la tua gavetta prima di arrivare alla fondazione della tua agenzia
E’ un percorso complesso, con molti giri e svolte. Mentre studiavo ho iniziato appunto dalla gavetta, ovvero facendo il jolly di mia madre Diana, ad esempio partecipando come standista alle varie fiere, o lavorando nel suo studio con varie mansioni ma mai in prima linea con il cliente. Poi, con la laurea in architettura, ho iniziato con una socia a operare in questo campo, ma per pochi anni, perché la rivista Domus, che mi aveva conosciuta come standista, mi chiamò per andare a presentare un loro progetto ai cento architetti più importanti al mondo. Sono stati, come è facile capire, due anni meravigliosi, in giro per il mondo – da Los Angeles a New York, da Vancouver a Chicago fino a Berlino, Londra e Parigi – a parlare con alcuni dei professionisti che hanno lasciato un’impronta nel settore, grandi miti per me che sono architetto di formazione: da Gehry a Chipperfield, da Vignelli a Piano, da Philip Johnson – che all’epoca era ancora vivo – a Rogers fino a Libeskind e Botta. Conclusosi questo progetto, un’altra svolta, l’assunzione al Monte dei Paschi di Siena, sempre nella comunicazione. Anche qui un paio d’anni, dal 2002 al 2003, ancora in giro… ma questa volta sulla tratta Milano-Siena. E quando mi si prospettò la scelta di trasferirmi a Siena, per entrare sempre più dentro nel mondo della comunicazione finanziaria, ho deciso di rientrare in pianta stabile a Milano. E, dunque, al design.
Che cambiamenti hai notato dal tuo rientro a Milano?
Sicuramente la velocità. Mi spiego, ora tutti parlano di social e digital ormai imprescindibili, ed è corretto, ma io ricordo bene anche il “vecchio” mondo in cui il fotocolor la faceva da protagonista, dove gli uffici stampa avevano spazi anche importanti per poter contenere e archiviare l’enorme quantità di materiale. Ora, quegli spazi fisici non servono più, basta un cloud, basta un buon pc. Sono scomparsi anche i costi di spedizione, grazie alle odierne piattaforme che ti consentono di raggiungere tutti i tuoi contatti praticamente in tempo reale. Dal mio sito, ad esempio, un giornalista basato, poniamo, a Tokyo, può scaricare testi e immagini in alta risoluzione un secondo dopo il loro inserimento. Forse c’è meno calore, meno contatto umano, ma sicuramente una maggiore comodità e funzionalità nel lavoro. Quello che non è cambiato, almeno credo, è che una struttura agile, chiamiamola anche “piccola”, funziona sempre meglio, perché il cliente sa di trovarti anche durante il weekend. E perché, senza troppi intermediari, si instaura un rapporto diretto, professionale certamente, ma che ha anche dei risvolti più personali. E ancora, l’essere agile e snella nella struttura mi permette di creare una rete di partnership che in primo luogo non appesantisce l’agenzia, e poi lavora in agilità anch’essa. Un network di grafici, di copy, e anche di collaborazioni strategicamente importanti come quella in essere con un altro ufficio stampa di Milano, ERGO, che ha la peculiarità di lavorare esclusivamente sull’estero. Infine, non è cambiato poi molto, se non nulla, nemmeno con pandemia e lockdown: i contatti non si sono mai interrotti, i miei clienti non hanno mollato, anzi.
E i rapporti con la stampa e le aziende?
Forse, prima ci si vedeva di più di persona e l’aspetto della fisicità era più presente perché bisognava incontrarsi in Fiera per raccogliere decine e decine di cartelle stampa ognuna delle quali con altrettanti fotocolor o, appena dopo, con diapositive, materiale che andava maneggiato e valutato con il lentino. Ora, nell’epoca dei render talmente perfetti da sembrare reali, queste cose sono forse dimenticate, fanno parte davvero di un’altra epoca. Ora basta un link o un QR code, ma credo sia importante partire da lì per comprendere dove siamo oggi. Stesso discorso per le aziende, anche se devo ammettere che gli inizi di quel cambiamento, diciamo dal Duemila a tre, quattro anni dopo, io li ho vissuti molto marginalmente, essendo a Siena.
A tuo parere, cosa spinge, oggi, un’azienda a cercare un’agenzia di comunicazione?
Sicuramente la necessità di esser sempre più visibile sui canali e target di riferimento, che non sono necessariamente gli stessi ogni anno. Con questo voglio dire che talvolta è necessario per un’azienda spingere il canale consumer e talvolta quello business, trade o contract che dir si voglia. E, di conseguenza, la strategia di comunicazione cambia totalmente, così come le testate o i Paesi di riferimento. Questo succede sia con le piccole aziende, ma ancor più con le multinazionali, in cui spesso le direttive arrivano dall’headquarter che può non essere basato in Italia.
E, al contrario, come un’agenzia può interagire con un’azienda?
I nostri progetti sono tutti tailor made perché ogni cliente/azienda è un mondo a sé. La flessibilità è importantissima, così come il dialogo con i referenti dell’azienda, che è necessario per procedere all’unisono. L’agenzia può guidare in alcune scelte e suggerire le migliori strategie, ma è necessario il confronto costante con più livelli aziendali, e non parlo solo dei referenti marketing, ma anche con i responsabili Sales, che hanno il polso diretto del mercato.
Il futuro?
Vediamoci fra qualche mese e saprò risponderti, credo e spero, in modo sicuro e soddisfacente. Diciamo che sto approntando un percorso che ha come obiettivo non solo la crescita di BMCO, non solo il suo sviluppo, ma anche, appunto, il suo futuro. Ma non anticipiamo niente, per ora…