In occasione del Fuorisalone 2021 abbiamo incontrato Philippe Starck nel nuovo showroom Lualdi. La sua filosofia? “Essere designer significa creare esperienze in grado di trasformare le persone”
“Non creiamo stanze per dormire, ma per sognare”. Philippe Starck parla così del suo lavoro nel settore dell’hotellerie, lo stesso che lo ha portato a Milano per presentare Welcome, la nuova collezione di porte per hotel che ha disegnato per Lualdi. Caratteristiche: ante filomuro personalizzabili in un’ampia varietà di finiture (legno, laccato opaco, alluminio) e quindi adattabili a ogni esigenza estetica, e un sistema di accessori -maniglia, luce segna passo e numero della stanza -, cui si aggiunge un tablet programmato anche per gestire la domotica delle camere e servizi come il check-in e la regolazione del riscaldamento. “Il settore dell’hotellerie è molto sfidante – ha spiegato Pierluigi Lualdi, responsabile contract dell’azienda – perchè richiede un’estrema capacità di personalizzazione del prodotto, servizio in cui ci distinguiamo da sempre”.
“Una porta non è un oggetto, ma un momento che dà inizio a una storia, un’azione che unendo due lati, due mondi, ha a che fare con la dimensione del mistero”, dice il designer francese, noto per i suoi iconici progetti di design e per aver disegnato ogni genere di location, dai night club, in primis il celeberrimo Studio 54 a Manhattan, agli appartamenti privati di François Mitterrand all’Eliseo, passando per boutique, bar, ristoranti e, appunto, hotel.
Nell’hotellerie qual è stata la sfida più grande?
Trasformare un bisogno come quello di fermarsi a dormire da qualche parte quando si è in giro per lavoro o piacere in un’esperienza unica, speciale: tutto qui. Seguendo quest’obiettivo credo di aver reinventato l’hospitality. Da un lato, mi interessava mostrare come anche chi non ha chissà quali disponibilità economiche meriti, da parte di noi designer, lo stesso sforzo creativo e lo stesso rispetto che si concedono a chi è più benestante.

Qui un buon esempio sono i Mama Shelter di Parigi, Marsiglia e altre città. Dall’altro?
L’altro aspetto riguarda gli hotel di lusso: quando li progetto cerco sempre di combattere l’idea del denaro come valore più importante, per lasciare maggiore spazio all’intelligenza.
Che cosa intendi?
Detesto gli hotel progettati solo per evidenziare che si sono spesi tanti soldi e che in realtà basano il loro concept su un design adatto a durare al massimo un paio di anni. Quando vedo spazi con queste caratteristiche provo imbarazzo: ho l’occhio per riconoscere immediatamente certi difetti, come designer cerco di andare nella direzione opposta.
Non senza stravaganze, sei famoso per questo: ti piace provocare?
Non si tratta di provocare, la provocazione magari la vedono gli altri, la mia è semplicemente libertà. Quello che penso è che le persone siano fantastiche, sexy, argute, ma spesso lo dimenticano ed è lì che entra in gioco la mia filosofia: ogni albergo per me è una macchina per regalare un’esperienza in grado di svegliarti, di scuoterti, di aprirti la mente. E per riuscire in questo la prima regola è non seguire le mode, i trend.
Cos’hai contro i trend?
I trend sono tossici, sono un meccanismo che spinge le persone a produrre e a consumare sempre di più e troppo, e dunque a sprecare e inquinare. Per fortuna sono effimeri per definizione, muoiono da soli e in fretta, ma dovremmo tutti distaccarci dall’idea stessa di tendenza, di moda, si tratta di concetti ormai superati, obsoleti: ciò che progettiamo deve durare il più a lungo possibile.
Prima parlavi di esperienze uniche: quali hotel che portano la tua firma consigli, sotto questo profilo?
Direi l’Hôtel La Co(o)rniche, non lontano da Bordeaux, con vista panoramica sulla Grande Duna del Pyla, sul mare: una meraviglia. Ma anche il Lily of the Valley, sulla Plage de Gigaro, in Costa Azzurra, e a Parigi il Brach, perché si trova in un edificio degli Anni 30, con la storia che si porta dietro racconta un mondo.
Oggi la parola “storytelling” è sulla bocca di tutti, per te che cosa significa?
Lo storytelling è il mio mestiere, ogni mio progetto narra una storia. Da questo punto di vista gli hotel sono il miglior medium, perché offrono ambienti dove noi designer possiamo inventare scenografie e mettere in scena ciò che vogliamo esprimere e raccontare.
In tutto ciò, qual è il futuro del design?
Il futuro del design è nello spazio. Ho progettato gli interni di Axiom Space, la prima stazione al mondo concepita per il turismo spaziale, ed è stato un sogno, visto che amo volare, sono un pilota e il figlio di un ingegnere aeronautico. So che c’è chi nutre perplessità, ma i voli spaziali sono l’avvenire, lo dice la scienza: tra circa 5 miliardi di anni il sole esploderà, l’umanità dovrà per forza scappare altrove.
Hai dichiarato in più di un’occasione che tra le tue fonti d’ispirazione c’è la musica: è ancora così?
Sì, la musica è parte di ciò che faccio. Quando lavoro, che sia giorno o notte non importa, ce l’ho in sottofondo, non posso farne a meno, per me è qualcosa di vitale: vivo con la musica e mentre creo la compongo anche, benché solo nella mia testa. Se fossi onesto, ad artisti come Brian Eno, Lou Reed e Laurie Anderson dovrei pagare delle royalty, perché le mie idee devono moltissimo ai loro dischi, il mio design ha la qualità della loro produzione musicale.