Contract
Antonio Rodriguez

Dal 2003 Antonio Rodriguez forma con Matteo Thun un sodalizio che ha esplorato domini progettuali di ogni ambito e scala. Con un approccio green ma al tempo stesso sensibile a nuovi materiali e tecnologie. Per interpretare al meglio lo spirito dei luoghi e del tempo

“Nasco in Spagna, studio a Valencia e mi trasferisco a Milano negli Anni 90 dove faccio un incontro, quello con Matteo Thun, che ha segnato l’inizio di uno straordinario percorso professionale e umano. Che continua ancora oggi, perché tuttora condividiamo la visione e i valori che ci hanno portato a lavorare insieme: centralità dell’uomo, rispetto dei luoghi e del loro spirito, una sensibilità ambientale che non è moda ma convinzione profonda”. Comincia così la nostra conversazione con Antonio Rodriguez, dal 2003 artefice con Matteo Thun di creazioni che esplorano con freschezza contemporanea ambiti diversi per disciplina, tipologia e scala. Con una coerenza di linguaggio che attraversa tutti i domini del progetto.  

Il vostro lavoro spazia dall’architettura all’interior e product design. Da dove nasce questa trasversalità e cosa significa gestirla?

L’evoluzione che ci ha condotto dal design di prodotto agli interni e all’architettura è stata dettata soprattutto dalla volontà di dare un’impronta organica ai nostri progetti, di armonizzarne il concept di partenza in ogni possibile declinazione per creare una coerenza narrativa fra involucro, interni, arredi e complementi. Non necessariamente utilizzando solo nostre creazioni, ma piuttosto scegliendo ogni volta soluzioni adatte a ottenere questa coerenza. È una ricerca continua, che soprattutto in un ambito oggi a noi molto familiare come il contract offre un’infinita varietà di opzioni. 

Architettura e interior design sono due ambiti disciplinari molto diversi: come riuscite a coniugarli in una sintesi coerente?

Tutto è frutto di un lavoro di squadra, in cui ognuna delle figure professionali coinvolte sviluppa il lavoro all’interno del proprio ambito specialistico, senza mai perdere di vista il concept scelto come base di partenza. È all’interno di questo filo conduttore che convivono le diverse dimensioni del progetto, ognuna con la propria scala, funzione e livello di dettaglio. L’architettura ha come primo interlocutore il territorio e il contesto urbano, il prodotto e gli interni hanno come protagonista la persona e le sue esigenze. Il nostro lavoro è inserire tutte queste dimensioni in una narrazione unitaria. 

In questo approccio qual è oggi la funzione del design?

Non credo che la sua funzione storica di creare oggetti e spazi in grado di migliorare la vita delle persone sia cambiata. Un’evoluzione senza dubbio c’è stata ma ha coinvolto altri ambiti come i materiali, l’impronta ambientale, mentre la funzione sociale del design rimane ancora oggi la stessa delle origini, ed è anzi importante non sovrapporle istanze che appartengono piuttosto all’arte. Il design è un’attività creativa e può avere senza dubbio un coté artistico, ma non è arte in senso stretto, ed è soggetta a vincoli funzionali, temporali, spaziali, tecnologici, commerciali che il designer non deve mai perdere di vista.

Siete stati dei pionieri di un tema di grande attualità come la sostenibilità ambientale, come lo declinate oggi nei vostri progetti?

Continuiamo ad amare materiali naturali e nobili come il legno, la pietra, il marmo, ma in questi ultimi anni stiamo da un lato privilegiando l’uso di risorse locali, anche in un’ottica di circolarità e riutilizzo finalizzata alla limitazione dell’impatto ambientale, dall’altro stiamo esplorando le possibilità di materiali come il grès e la ceramica, che oggi offrono una grande libertà compositiva ed esiti formali di eccellente livello con un limitato consumo di risorse naturali. Senza dimenticare aspetti funzionali come l’igienicità, che in contesti a noi molto cari come l’ospitalità e le strutture di cura è cruciale. 

Sostenibilità e funzionalità, quindi…

Non solo, anche un’impronta formale che avvicini il più possibile gli interni a quelli dell’ambito residenziale. Un passaggio che nella progettazione alberghiera è ormai compiuto, e che si sta lentamente estendendo anche a contesti come l’edilizia ospedaliera.

Parlando di hospitality, cos’è cambiato in questi ultimi anni?

Non tutto, ma quasi tutto. Oggi il compito del progettista è creare esperienze di soggiorno, un aspetto spesso indipendente dal puro gesto estetico, da cui discende anche una nuova gerarchizzazione degli spazi delle camere e degli stessi criteri di scelta dell’hotel. Che oggi sono innanzitutto un ambiente bagno curato, un riposo di qualità e una connessione efficiente. A cambiare radicalmente sono state anche le aree comuni, che oggi sono spazi assimilabili a una piazza, aperta a ogni ora, con una forte proiezione all’esterno, dove la gente mangia, lavora, si incontra, intrattiene relazioni. Più in generale, sono l’esperienza e la sua qualità a fare la differenza. E questa si può trovare indifferentemente in un cinque stelle come in un bed&breakfast.  

In che direzione sta andando l’hotellerie?

Forse il cambiamento più importante in prospettiva è il passaggio, di cui stiamo già vedendo alcuni esempi, da un concetto di hotel dedicato a uno specifico profilo di cliente a un hotel che potremmo definire “multitarget”, capace di offrire esperienze di soggiorno attraenti per diverse tipologie di ospiti all’interno della stessa struttura. Una rivoluzione sotto ogni aspetto, che introduce nuovi gradi di complessità nel percorso progettuale e una versatilità nella personalizzazione del soggiorno che si spinge dal livello della camera fino a quello del singolo elemento d’arredo.