Contract
A casa di Patrizia Moroso

Nella sua casa sfilano le icone di Moroso, dalla zona giorno con camino all’angolo lettura affacciato sul giardino fino alla camera. Perchè l’idea è che il luogo dove si vive non deve essere solo uno spazio privato, ma anche un atelier creativo dove accogliere sia amici che collaboratori e clienti, in un’ottica di continuità tra vita privata e lavoro

Un bosco ai margini del centro di Udine. È qui che anni fa Patrizia Moroso, art director di Moroso, ha scelto di costruire la sua casa. A una condizione: che il contesto naturale restasse immutato. E per portare a termine l’impresa ha coinvolto l’architetto Martino Berghinz e l’amica Patricia Urquiola, designer di punta del brand con cui, tra l’altro, ha anche condiviso un viaggio in Australia.

Sono proprio i viaggi, infatti, la principale fonte d’ispirazione di un progetto architettonico caratterizzato da volumi rigorosi che seguono la linea del terreno, ampie vetrate che mettono in relazione interno ed esterno, e un rivestimento in legno scuro inframmezzato dai profili rossi di porte e finestre.

Una scelta non casuale: il nero è una tonalità simbolica che rimanda ai tronchi d’albero così come agli attrezzi da lavoro africani; il rosso è qui proposto in una nuance terrosa che torna anche sul pavimento in resina di uno dei salotti interni e che ricorda le sfumature cromatiche di certi paesaggi, il colore delle foglie in autunno, un mondo dal sapore quasi ancestrale che Patrizia e il marito Abdu Salam Gaye hanno conosciuto da bambini, lei nella cascina dei nonni in Friuli, lui nell’abitazione dove è cresciuto a Dakar.

Dalla loro unione sono nati tre figli, Khadim, Omar e Amina, ed è venuta alla luce anche questa residenza spesso aperta ad amici e colleghi, in un’ottica di continuità tra vita privata e lavoro. L’idea è che il luogo dove si vive non sia solo uno spazio privato, ma anche un atelier creativo dove accogliere clienti e colleghi, un incrocio tra uno showroom e una sala riunioni, ma dall’atmosfera domestica.

Il risultato è una full immersion nell’universo di Patrizia Moroso, nel suo immaginario, nel suo gusto estetico. Una residenza su due livelli completamente immersa nel verde: dal piano terra, quello più votato alla socialità, si osserva il bosco all’altezza dei tronchi possenti che lo compongono; al piano superiore lo sguardo cade sulle chiome degli alberi, quasi come in una fiaba.

Ad arricchire il concept, una selezione di arredi concepita come un incontro tra culture differenti, dove i prototipi delle più recenti collezioni Moroso – creazioni preziose che contengono l’idea dei dettagli originali prima che il processo industriale li cancelli – dialogano con ricordi di viaggio e mobili antichi cinesi, tibetani e indiani segnati dal tempo. I colori danno il ritmo all’ambiente, non solo il nero e il rosso, ma anche i toni sgargianti e vivaci – dal viola all’arancio, dal verde al giallo – di sofà e sedute dalle forme morbide e ondulate, collocate sia indoor sia outdoor, nelle terrazze e nel patio.

Tra i pezzi firmati Moroso sfilano, nella zona giorno completa di camino, nell’angolo lettura affacciato sul giardino e nelle camere da letto, l’originale divano Misfits in poliuretano espanso di Ron Arad, la fantasiosa Witch Chair di Tord Boontje, la poltrona in stile afro Binta dello svizzero Philippe Bestenheider e la Paper Planes di Nipa Doshi & Jonathan Levien, le iconiche sedie Supernatural di Ross Lovegrove, la giocosa collezione Taba di Alfredo Häberli.

E sempre di Urquiola, Ruff, una scultura più che una poltrona, esplicito tributo della designer italiana d’adozione sia alle sue origini sia all’arte di Eduardo Chillida, compianto scultore iberico di fama internazionale. Evidente è anche il desiderio di intrecciare più discipline, scuole, stili: la modernità dei prodotti di design convive con le opere d’arte del pittore e scultore egiziano Fathi Hassan e le fotografie del senegalese Boubacar Touré Mandémory, nonché con la semplicità e l’unicità di oggetti fatti a mano prevalentemente africani, vedi il tappeto a mosaico nel corridoio e il tricot e i tessuti tradizionali usati come rivestimenti.

Riflette lo stesso spirito la collezione di sedute M’Afrique, nata dopo un viaggio in Senegal durante il quale Patrizia è rimasta colpita dall’arte di intrecciare i fili in polietilene delle reti da pesca su vecchie strutture in ferro, legno o plastica per renderle più belle. Per capire e applicare quella tecnica così affascinante ha ingaggiato vari designer: l’unione tra i loro disegni su carta e le mani esperte di artigiani africani è diventata così il punto di forza di una serie di sedie e poltroncine sinuose, ciascuna diversa dall’altra. Tra queste spicca la chaise longue Modou di Ron Arad, dinamica come un bolide futurista, così chiamata dal designer israeliano in omaggio all’omonimo metalmeccanico che ha lavorato con lui a Dakar.