Reticoli, tasselli, poligoni e composizioni. Esplode il trend dei temi geometrici
Reticoli, tasselli, poligoni e composizioni. A partire dalla fine degli anni Sessanta, al termine della stagione purista, esplode la ricerca sui rivestimenti, all’interno della quale l’esplorazione dei temi geometrici ha un ruolo preponderante ed è ancora oggi uno dei trend più prolifici

“Less is a bore!” è la ormai celebre frase con cui Robert Venturi, premio Pritzker nel 1991, ribatteva alla massima “Less is more” di Ludwig Mies van der Rohe. Sono ormai passati cinquantacinque anni dalla pubblicazione di Complexity and contradiction in architecture e le critiche di Robert Venturi alle semplificazioni dell’architettura moderna sono patrimonio di tutti, tanto che complessità, contraddizione e inclusività sono la cifra dell’architettura contemporanea. Dice Venturi nel suo saggio diventato un classico del pensiero architettonico: “Sono per la ricchezza piuttosto che per la chiarezza del significato, per la funzione implicita come per la funzione esplicita, preferisco «e-e» a «o-o», bianco e nero, e a volte grigio, a bianco o nero”.
Non ci si stupisce dunque che a partire dalla fine degli anni Sessanta, al termine della stagione purista, esploda la ricerca sui rivestimenti, all’interno della quale l’esplorazione dei temi geometrici ha un ruolo preponderante ed è oggi uno dei trend più prolifici: Astrattismo, Suprematismo, Bauhaus, Op art, così come la reinterpretazione dei motivi decorativi tradizionali, hanno ispirato e ispirano le collezioni di maggior successo.

In realtà se pensiamo ai rivestimenti di piccole dimensioni – come le piastrelle – esiste una questione geometrica che viene ancor prima della composizione: è il rapporto fra il reticolo e il tassello, l’elemento singolo. Tanto che una branca della geometria piana, la tassellatura, studia proprio i modi di ricoprire il piano con una o più figure geometriche senza sovrapposizioni e senza lasciare vuoti.
Partiamo da un fatto che tutti conoscono: ci sono solo tre poligoni regolari che tassellano il piano, il triangolo, il quadrato e l’esagono, poiché l’angolo giro, dove si accostano gli elementi, deve essere diviso in parti uguali. I rivestimenti triangolari sono i più rari, mentre i rivestimenti esagonali sono diffusi in ambiente arabo a partire dal XV e XVI secolo: celebri le ceramiche prodotte a Damasco nella seconda metà del Cinquecento, astratte e magnetiche, dove su un fondo turchese sono disegnate in nero le onde del mantello della tigre e le macchie del leopardo. Così come i rivestimenti dell’Alhambra, con quattro lati leggermente smussati per poter inserire un elemento circolare.

Il formato esagonale – oggi in pieno revival – viene interpretato nel corso dei secoli fino ai rivestimenti di Tarquin Cole degli anni Settanta, premiati con il Design Council Award nel 1974 e all’interpretazione che ne dà oggi Paola Navone con la collezione Cementiles di Bisazza, dove un esagono più piccolo è ruotato rispetto ai bordi per conferire variazione alla superficie. Ma è il quadrato, nella sua semplicità cartesiana, il campo nel quale si è sperimentata la composizione geometrica nella sua valenza più propriamente pittorica e non solo come possibilità, più o meno varia, di rivestimento del piano.
“Penso sempre – dice Giò Ponti – alle infinite possibilità dell’arte: date a uno un quadrato di venti per venti e – benché nei secoli tutti si siano sbizzarriti con infiniti disegni – c’è sempre posto per un disegno nuovo, per un vostro disegno. Non ci sarà mai l’ultimo disegno”. Il riferimento di Ponti è alle ceramiche da lui disegnate per l’Hotel Parco dei Principi di Sorrento fra il 1960 e il 1961: ventisette decori bianchi e blu fatti a mano dai maestri sorrentini, che gli permisero di realizzare un pavimento diverso per ognuna delle cento camere dell’hotel.
Risalgono al XIII secolo in Europa i primi decori geometrici, quando nel nord della Francia si producono mattonelle quadrate intarsiate divise sulla diagonale, applicando alla superficie vetro ramato. Successivamente, con l’introduzione in Spagna delle tecniche della cuerda seca e dell’arista – che impediscono ai colori di miscelarsi durante la cottura – le decorazioni si fanno più complesse: a Toledo all’inizio del Cinquecento si diffondono motivi con intrecci stellati. È un’innovazione importante, in quanto con un solo elemento si possono realizzare composizioni che prima comportavano l’utilizzo di molti pezzi di dimensioni ridotte.
Bisogna tuttavia attendere la seconda parte dell’Ottocento per la diffusione di massa dei rivestimenti – contemporanea all’avvento del bagno interno all’abitazione – grazie a tecniche produttive che permettono di ridurne i costi. Così gli autori delle prime avanguardie novecentesche si dedicano al design dei rivestimenti ceramici. I motivi geometrici sono ripresi con successo da Peter Behrens, che disegna per Villeroy & Boch nel 1903 una riquadratura con una piccola spirale in un angolo nei toni del bianco e del grigio; mentre non si diffondono le composizioni geometriche in rilevo – conosciute come Architectons – che il pittore suprematista russo Nikolai Suetin sperimentò negli anni Venti per la Fabbrica di Porcellane di Stato di San Pietroburgo, nel periodo in cui la giovane repubblica sovietica tentò di coinvolgere gli artisti nella produzione di oggetti di massa.
Nella rinascita successiva al rigore modernista, in Italia Cedit coinvolge designer e pittori per i propri prodotti, che vengono lanciati come veri e propri accessori di moda: notevole il disegno in bianco e nero di Ettore Sottsass per la Collezione 68, i cui effetti rimandano all’Op Art, mentre in Gran Bretagna sono le autrici a dare un contributo fondamentale. Peggy Angus, già a partire dagli anni 40 realizza – grazie alla tecnica della serigrafia – una serie costituita da cerchi e semicerchi bianchi su campo blu ed è fra gli artisti più importanti che abbiano lavorato con i rivestimenti ceramici: suoi i rivestimenti del Padiglione Britannico all’Expo di Bruxelles del 1958. Mentre Sally Anderson negli anni Settanta sperimenta motivi sfuocati verniciati a spruzzo con linee, zig zag e cerchi utilizzando colori desaturati.
Oggi i temi geometrici sono fra le proposte più interessanti. Variazione, compresenza e complessità sono i presupposti del lavoro di Nathalie Du Pasquier nel disegno delle ventisette grafiche e dei sei elementi a tinta unita per la collezione Mattonelle Margherita di Mutina, che danno vita a infiniti layout, molto diversi fra loro ma accomunati da un mood giocoso e ottimista. Viceversa l’ambiguità fra grafica e lettering ispira la collezione AlfabeTile disegnata da Daniele Della Porta e Clara Nardiello per il centenario del Bauhaus nel 2019. Qui le lettere dell’alfabeto, ridotte a forme geometriche, possono dar luogo a pattern di rivestimento, così come essere utilizzate per messaggi nascosti fra le forme.
Ma ritorniamo, per concludere il nostro discorso, alla dimensione primitiva del rapporto geometria-rivestimenti, la tassellatura. Anch’essa ha avuto interessanti sviluppi nel secondo dopoguerra, grazie a Maurits Cornelis Escher, un artista, e Roger Penrose, un matematico. Escher, in seguito a una visita all’Alhambra, impressionato dalla capacità degli artisti arabi di riempire lo spazio con figure coerenti, ha dato vita nel 1959 ai famosi rivestimenti con le figure di cigno che si incastrano fra loro. Mentre Roger Penrose, insieme a Robert Amman, ha scoperto nel 1974 la tassellatura aperiodica diventata famosa presso il pubblico non specialista. Si tratta di uno schema con il quale è possibile realizzare rivestimenti infiniti che non si ripetono mai uguali a se stessi, utilizzando due soli pezzi a forma di rombo, detti dardo e aquilone. Ed è proprio in onore di sir Roger Penrose che l’ingresso dell’Istituto di Matematica dell’Università di Oxford è stato ripavimentato utilizzando dardi e aquiloni impreziositi da inserti circolari in acciaio inox.