A nord di Hong Kong lo studio di architettura CCD/Cheng Chung Design ha progettato il C Future City Experience Center, un centro urbano ispirato al villaggio di pescatori Shangsha
Fino a non molto tempo fa quando si pensava alle città del futuro si prendevano perlopiù in considerazione le megalopoli americane, New York in primis.

Oggi non è più così e benché in Europa siano ancora in tanti a ritenere la Grande Mela come il paradigma di ciò che ci aspetta nei prossimi decenni, la verità è che il regno dell’innovazione urbanistica si è spostato in Cina, e non solo nelle famose Pechino, Hong Kong e Shanghai, ma anche in metropoli meno conosciute.

Una di queste è Shenzhen, hub tecnologico da oltre 13 milioni di abitanti che sta facendo tremare la Silicon Valley. Ci troviamo sul mare, a nord della succitata Hong Kong: è qui che lo studio di architettura CCD/Cheng Chung Design ha progettato il C Future City Experience Center, sorta di villaggio urbano ispirato al paesino di pescatori Shangsha, ormai inglobato nel quartiere residenziale C Future City.

L’idea dei designer è stata quella di partire dai segni e dai valori del passato per realizzare uno spazio che oltre a essere, almeno in una fase iniziale, un ufficio vendite immobiliare, si propone come meta per passeggiate meditative e punto d’incontro per i giovani del distretto circostante.

Dare vita a un luogo in grado di stimolare una risonanza emotiva e l’immaginazione: questo l’obiettivo finale, perseguito prendendo spunto anche da un poema – in inglese “Dream Journey to Tianmu Mountain: Chanted upon Departure” – in cui l’autore cinese Li Bai, tra i massimi della Dinastia Tang, fantasticava su un ideale regno delle meraviglie: “Mi piacerebbe viaggiare verso Wu e Yue nel sogno – recitano alcuni versi – e sorvolare il lago Specchio in una notte al chiaro di luna”.

Eccoci, allora, in un edificio su tre livelli concepito come una reinterpretazione avveniristica di un tradizionale giardino cinese: si spiegano così la scelta di uno stile volutamente minimale, elegantemente disadorno, e la presenza di un’area open air impreziosita da uno specchio d’acqua, oltre che di una suggestiva scala elicoidale e di altri elementi quali navate strette e corridoi, che nel loro insieme producono una combinazione di linee, archi e prospettive volta, nel suo essenziale dinamismo, a trasmettere ai visitatori una sensazione di calma, di quiete.

A essere portato in scena è lo spirito Zen che da secoli nutre le culture orientali, il che vale anche per la facciata del palazzo, costituita da pareti in pietra grigio-bianca, griglie di bambù e vetro.

Il risultato è un ambiente evocativo anche per l’accostamento di materiali quali arenaria, granito, frassino e pietrisco, e per lo sfilare di panche e arredi dalle forme morbide e ondulate, di pezzi sferici nelle zone di transizione, di piante e inserti verdi, di salottini immersi in sculture a goccia, nonché di interventi artistici: vedi il tavolo in legno massello sagomato a barca, l’installazione di perline bianche che rimanda alle reti da pesca e il paesaggio karesansui (tipico, appunto, del giardino Zen) composto da sfere di muschio, rocce e sassi.
