Protagonisti
Pierre Yovanovitch

È uno degli architetti più richiesti della sua generazione, celebre per i suoi interior dallo stile glamour e rarefatto, con studiati tocchi “haute couture”. Rizzoli New York gli ha da poco dedicato una monografia e Wallpaper, a febbraio, lo ha nominato designer of the year. Intuitivo e perfezionista, indifferente a mode e tendenze, Pierre Yovanovitch affronta ogni progetto di interior come un universo a sé stante, adattato al luogo e alla personalità dei suoi clienti

Tutto quel che riguarda Pierre Yovanovitch, uomo elegantissimo e raffinato, con un’allure da “Yves Saint-Laurent anni Settanta” – come ha scritto Le Monde – è singolare. A partire dalle sue architetture d’interni, per le quali ovunque si parla di pezzi unici, fino alla sua carriera personale. Difficile, per esempio, presagire un futuro quale interior designer dagli studi compiuti in un’École de commerce. Galeotto, in un certo senso, fu un altro Pierre, Cardin, per il quale Yovanovitch ha lavorato fino al 2001, anno in cui ha fondato la società, con sede a Parigi, che porta il suo nome. “Cardin ha il senso del volume, credo di averlo imparato da lui”, dice. E da quell’esperienza ha certamente mutuato quel senso estetico haute couture e quella visione epurata dell’architettura d’interni, che rifugge eccessi e ostentazioni ed è una delle sue peculiarità.

Che si tratti di residenze lussuose, boutique, alberghi o della scenografia di esposizioni internazionali, a Parigi, Londra, New York, Bruxelles, Tel Aviv, in Provenza, nella Valle del Douro o sulle Alpi svizzere, ogni progetto è un universo a sé stante, adattato al luogo, alla personalità e allo stile di vita dei suoi clienti. E ogni sito diventa uno scrigno ricolmo di gioielli: mobili disegnati su misura e opere d’arte, di artisti affermati o promesse su cui puntare, a volte create addirittura in loco, come il nido realizzato da Tadashi Kawamata nell’interno parigino della casa di un collezionista. L’arte contemporanea gioca, in effetti, un ruolo essenziale in ogni progetto di Yovanovitch, amatore illuminato ed egli stesso collezionista, così come l’artigianato d’arte.

Viene definito intuitivo e perfezionista, indifferente a mode e tendenze, mentre il suo stile made in France sembra nato sotto il segno dell’eclettismo: “Mi piace mescolare”, afferma. “Rifiuto il total look, dove tutto è liscio, neutro e non esiste parzialità. Negli interni metto mobili e lampade disegnati da me, pezzi vintage e di altri designer contemporanei”.

Amatissimo in Francia – Olivier Gabet, direttore del MAD, Musée des Arts Décoratifs, di Parigi, ha detto di lui: “ha la fortuna di vivere l’età dell’oro dell’architettura d’interni ed è uno dei più grandi” – e apprezzato dai britannici al punto che Wallpaper a febbraio lo ha eletto “designer dell’anno”, Yovanovitch sembra avere un feeling particolare anche con New York che, ha affermato, “ti fa sentire come se tutto fosse possibile”. Così, nella primavera del 2018, ha aperto la sua prima sede al di là dell’Atlantico, nel centro di Manhattan. E ancora a New York, la galleria R&Company ha accolto, nel novembre del 2019, la sua ultima collezione, LOVE, bell’esempio di artigianato d’arte e di un savoir-faire francese ed europeo d’eccezione, che lui definisce “una mia narrazione personale sull’amore. C’è pure un trono con due sedili accanto che rappresenta il triangolo amoroso”.

Anche nel pensare i mobili si riconosce infatti la singolarità che sembra la caratteristica numero uno di Yovanovitch: si trovano poltrone dalle linee pulitissime e perfette, come Woody, e altre biomorfe, tenere e buffe, come Mamma Orsa e Papà Orso.

Sempre nel 2019 è uscita la prima monografia a lui dedicata, pubblicata da Rizzoli New York, dove il suo marchio di fabbrica viene descritto come “un’estetica del lusso francese e una visione unica dell’eleganza contemporanea”, il suo stile “raffinato e sottile, da alta moda” e lui stesso come “uno dei talenti più richiesti della sua generazione”. Nella biografia ufficiale, si parla invece di “armonia dei volumi, linee tese e tracciate con mano da maestro” che “conferiscono forza e sobrietà all’architettura d’interni, addolcita dai giochi di luce e dalla scelta di materiali autentici: legno, pietra, marmo, metallo”.

L’elenco delle sue realizzazioni è lungo, ma tra le ultime va senz’altro citata la “Maison Pierre Yovanovitch”, nuova sede della rue du Beauregard, con luci verticali che sembrano arrampicarsi lungo la bellissima scalinata. Tra l’altro, le scale interne sono un piccolo fil rouge comune ad altre delle sue architetture d’interni, come quella della Patinoire Royale di Bruxelles, trasformata in museo e galleria d’arte contemporanea: “Le mie scalinate hanno forme rotonde, sensuali. Hanno un lato virile, che è la forza della scala, e uno femminile, perché sono sexy”. 

Realizzazioni ancor più recenti, nel 2019, il ristorante Hélène Darroze at The Connaught, a Londra, e il nuovo hotel cinque stelle Le Coucou a Méribel, in Savoia, di cui ha firmato sia l’architettura d’interni che l’arredamento. Per il primo ha concepito una sala da pranzo accogliente e intima, in cui toni cipria, linee curve, velluti e cuoio sembrano riflettere l’etica calda e quasi familiare del ristorante. Un candeliere blu in vetro soffiato e i tavoli in legno aggiungono un deciso tocco contemporaneo. Quanto al Coucou è uno dei luoghi in cui Yovanovitch ha scatenato appieno la sua creatività, il suo amore per l’arte moderna e anche il suo senso dell’umorismo: “Fin dall’inizio la mia ossessione è stata quella di creare un luogo nel quale ci si sentisse come a casa, lontano dai codici dei classici hotel. Era importante per me che ogni camera fosse una camera con vista sulle montagne”. 

La montagna, anche all’interno, è onnipresente, ma i riferimenti sono discreti: le sedie savoiarde sono state completamente rivisitate, la moquette sembra ricoperta da fiocchi di neve e il legno è uno dei protagonisti, ma non c’è legno dappertutto. Altre presenze caratteristiche le civette, una vera passione per Yovanovitch, che ne possiede a decine: “Ne sono affascinato. Nell’hotel si nascondono qua e là: sulla cupola affrescata da Mathieu Cossé, come nelle camere, dove sono in ceramica”. Immancabili, come è naturale, anche i cucù, opere dello scultore Eric Croes, che riempiono la parete del ristorante BeefBar. E come tutto quello che ha a che fare con Pierre Yovanovitch anche questi cucù sono singolari. Anzi, unici.