Protagonisti
Matteo Thun

Per il progettista altoatesino non ci sono dubbi: il futuro sarà dominato dall’Healthy Living e dall’architettura botanica. Ecco perché l’approccio green è oggi più che mai una necessità

Tre volte vincitore del Compasso d’Oro, Matteo Thun è un architetto a tutto tondo, capace di passare con facilità dalla progettazione di una sedia a quella di un hotel. Cofondatore nel 1981 del gruppo Memphis, è stato per i tre anni successivi partner dello studio di Ettore Sottsass, con cui dichiara di condividere il coraggio di fare qualcosa di nuovo. E lui, in materia di novità, è davvero un pioniere, se pensiamo che nel 1999 realizzò la CasaClima Rubner Haus Heidis, una casa prefabbricata che oltre a essere bella è anche ecologica, perché sfrutta l’energia solare attraverso i vetri e il legno. “Sostenibile” non a caso è l’aggettivo che meglio descrive i suoi progetti, in bilico fra tradizione e design contemporaneo

Lei non è solo un architetto, ma anche un interior e product designer: parafrasando Ernesto Nathan Rogers verrebbe da chiederle come si passa “dal cucchiaio alla città”?

Penso che il suo slogan racconti il tipico approccio di un architetto italiano che disegna un cucchiaio, una sedia, una lampada o un grattacielo. Forse questa è anche la forza del mio studio, che progetta dal micro al macro, dal masterplan allo styling. Sottsass e Branzi dicono: si può fare!

Parlando di progettazione di hotel, c’è un ambito che predilige?

Un hotel è una casa contemporanea e deve riflettere il Genius loci, indipendentemente dalla categoria. Un hotel in un paesaggio alpino deve soddisfare altre esigenze rispetto a un hotel in un ambiente urbano. Non saprei dire cosa preferisco… forse, essendo cresciuto in montagna, trovo più interessante la costruzione alpina, che per certi aspetti è più complessa, ma anche più attraente, perché la quinta facciata, cioè il tetto, è quella dominante.

Oltre a essere connessi con l’ambiente circostante, i suoi hotel sono spesso dominati da materiali naturali come il legno: in cosa consiste per lei la sostenibilità?

Non dovrebbe essere necessario parlare di architettura sostenibile: dovremmo costruire così, un’architettura sine qua non. Il Genius loci è sempre il punto di partenza di ogni progetto. Circa dieci anni fa, in via Tortona, a Milano, abbiamo costruito un complesso multifunzionale che comprende cinque edifici. Abbiamo sfruttato il riscaldamento geotermico come principio ecosostenibile, ancora poco utilizzato in Italia fino a quel momento. Il complesso di via Tortona è un progetto “tre zeri”, un altro principio seguito dal nostro studio: zero CO2, zero rifiuti, zero chilometri.

Dal punto di vista estetico in cosa si traduce questo approccio green?

No greenwashing!

«Non potrai fare nulla di più bello di quanto non sia già questo posto», le predisse Ulrich Ladurner quando nel 1999 la chiamò a progettare il Vigilius Mountain Resort, forse una delle sue opere più rappresentative, un hotel capace di rendere giustizia alla preziosità del luogo in cui sorge: il Monte San Vigilio presso Lana, Merano. I suoi clienti condividono con lei il rispetto per l’ambiente o le è capitato di doverglielo infondere?

La maggior parte dei clienti, investitori e proprietari privati, ci contattano perché sono entusiasmati all’idea di realizzare progetti che rispettino l’ambiente e che siano esteticamente longevi. Allo stesso tempo vogliono lavorare con un team esperto in budget flessibili e ingegneria dei costi. Abbiamo creato una piattaforma per interni – Matteo Thun Atelier – proprio per offrire elementi fatti a mano che possono essere personalizzati, in modo che si adattino al contesto e diano un tocco originale alle diverse impostazioni.

Grazie ai suoi elevati standard energetici e alle innovative tecnologie utilizzate, il Vigilius è anche il primo hotel italiano ad aver ottenuto il certificato di CasaClima classe A. Quanto sono importanti le certificazioni per una struttura alberghiera?

Il certificato si basa sui tre pilastri della sostenibilità: ecologia, economia e aspetti socio-culturali. Aiuta il turista a seguire il percorso della sostenibilità, non stabilisce soltanto determinati criteri relativi al consumo di energia, ma è relativo a tutti gli aspetti dell’hotel. Per l’investitore, il sigillo di qualità funge da garante di un investimento sicuro e redditizio.

Il suo studio è composto da un team di 70 tra architetti, interior, product e graphic designer che contribuiscono ognuno con il proprio know how: qual è il suo ruolo e quanto c’è di Matteo Thun in ogni progetto alberghiero?

Lavoriamo in modo interdisciplinare, insieme.

Lei è stato allievo di Ettore Sottsass con cui ha condiviso l’esperienza di Memphis. Come sopravvive nei suoi hotel la lezione del maestro?

«Solo se hai il coraggio di fare qualcosa di nuovo, di attraversare i confini, puoi sperimentare nuove conoscenze».

Come è cambiata l’hôtellerie negli ultimi 20 anni e come crede che cambierà nei prossimi 20?

Lo star-system sembra sbiadire. Il prossimo decennio sarà modellato dall’Healthy Living che, insieme all’architettura botanica, giocherà un ruolo decisivo. I nativi digitali formeranno il futuro. Stanno diventando più consapevoli dell’ambiente e della sostenibilità. Allineano il loro comportamento di consumo ai valori etici di un marchio e giudicano anche quali metodi di sostenibilità perseguono e implementano. Quindi la natura sarà parte integrante dell’architettura e dell’interior design.

A quali strutture alberghiere sta lavorando? Può darci qualche anticipazione?

Nel 2001 abbiamo progettato il SIDE Hotel, il primo hotel di design ad Amburgo che ora stiamo ristrutturando e che riaprirà ad aprile. Il lancio dell’interior concept per la prossima generazione della catena alberghiera tedesca IntercityHotels è in piena fioritura: a fine anno apriranno diversi nuovi hotel. Stiamo anche lavorando a due progetti ospedalieri nella Germania orientale che riflettono l’idea che i materiali naturali e l’uso deliberato di luce e colore favoriscano il processo di guarigione. La parola latina hospes si traduce in ospite, quindi l’ospitalità e gli ospedali non sono poi così diversi.