Aperto, multiculturale, cosmopolita: sono le tre parole che meglio descrivono l’approccio all’hospitality design di Neri e Hu. Conscio delle proprie radici, ma aperto alla contaminazione e alla ricerca di nuovi modi dell’ospitalità. Capaci di superare le convenzioni
Un master in architettura ad Harvard e la laurea in architettura a Berkeley per Lyndon Neri, un master alla Princeton University e la laurea a Berkeley per Rossana Hu. Comincia così, all’insegna della multiculturalità, l’identikit dei fondatori di Neri & Hu Design and Research Office, studio internazionale di Design e Architettura con sede a Shanghai e un secondo ufficio a Londra. Un team proveniente da oltre trenta Paesi, perfettamente funzionale alla vision dei fondatori, incentrata su un nuovo paradigma di architettura come sintesi di discipline e di differenti ispirazioni culturali. Li abbiamo incontrati a Milano in occasione di Invisible Rooms, un originale progetto e installazione che ha preso forma nella cornice di Palazzo Morando: nove ambienti, tutti legati al concetto di ospitalità, e un unico obiettivo: mettere in discussione l’attuale concezione di hotellerie. Nell’intervista le loro riflessioni sull’evoluzione dell’hospitality design e sul futuro di una disciplina che oggi affronta il difficile compito di coniugare e sintetizzare linguaggi, culture e suggestioni di un mondo sempre più aperto e interconnesso.

Quale concept di hotel emerge dalla vostra recente esposizione a Palazzo Morando a Milano? E qual è stata in particolare la vostra idea ispiratrice?
In questa installazione abbiamo cercato di superare la definizione convenzionale e un po’ statica di hotel, tipicamente inteso come insieme di spazi funzionali. Il nostro obiettivo è stato piuttosto quello di evocare nuove potenzialità attraverso la creazione di una narrativa, di immaginare ciò che un hotel potrebbe essere al di là dei suoi tradizionali aspetti operativi. Traendo ispirazione dal classico di Italo Calvino “Città invisibili” abbiamo tradotto le descrizioni oniriche di città fantastiche narrate da Marco Polo a Kublai Kan in una serie di ambienti che, unitariamente, racchiudono l’intera esperienza dell’ospitalità. La scelta di questa narrazione, che porta la scala della città alla scala della camera, parla della filosofia di Neri &Hu riguardo agli urban hotel e alla loro indissolubile relazione con il tessuto urbano, dove gli spazi si aprono alla dimensione pubblica e viceversa. Grazie al nostro retroterra multiculturale abbiamo condotto i visitatori in un viaggio che coniuga armoniosamente influenze orientali e occidentali. In questo contesto, le Città invisibili gettano una nuova luce sull’ospitalità contemporanea come potenziale punto di incontro non solo tra culture diverse, ma anche tra fantasia e funzione, pubblico e privato, storico e moderno.

Quali obiettivi vi ponete nella progettazione di una struttura ricettiva? E quali aspetti identificano maggiormente il vostro approccio?
Su un piano generale, consideriamo il nostro lavoro uno strumento di analisi e critica del contemporaneo, e insieme un modo fortemente personale per esprimere ciò che siamo. Di conseguenza, per noi il design non è semplicemente un mezzo per la creazione di cose utili ed esteticamente valide, ma anche espressione culturale e strumento di cambiamento sociale. Ciò significa sfidare le regole, porre domande che non sono mai state poste e concepire risposte atipiche e fuori dagli schemi. Per quanto riguarda in particolare l’ospitalità, il nostro obiettivo è sfidare i modelli tradizionali espressi dai trend e aprire riflessioni capaci di spingere questa tipologia progettuale verso una dimensione più inclusiva di altri elementi culturali. Siamo interessati anche a una dimensione, per così dire, “domestica” nel progetto dell’ospitalità, in cui i viaggiatori possano ritrovare il comfort e la familiarità della propria casa anche quando viaggiano all’estero, senza naturalmente rinunciare all’unicità ed “estraneità” dei nuovi luoghi. Crediamo insomma sia necessario ampliare il dibattito sulla progettazione nell’ambito dell’ospitalità, superando gli stilemi consolidati per affrontare alcuni temi chiave fra cui, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, il turismo di consumo, le rappresentazioni culturali e identitarie, la nostalgia, la ruinofilia.

Qual è a vostro avviso l’elemento più innovativo nella progettazione per l’ospitalità contemporanea?
Come progettisti siamo interessati alla ricerca di nuove modalità di sintesi culturale nel nostro approccio al design. Poiché non riteniamo centrale il tema degli stili architettonici tendiamo a esplorare l’essenza degli spazi abitativi caratterizzati da specifici connotati culturali – ad esempio le case a corte e le lane house – per capire come questi possano inserirsi nel tessuto urbano e nel nostro lavoro. Il progressivo sfumare dei confini delle tipologie tradizionali e lo stile di vita contemporaneo rappresentano altrettanti oggetti della nostra ricerca, e in architettura una delle espressioni di queste tematiche è il mutamento del concetto di confine tra esterno e interno. Ciò porta inevitabilmente a un nuovo modo di guardare alle forme progettuali convenzionali, ed è proprio questo che amiamo fare: spingere i limiti oltre i confini conosciuti e vedere dove possiamo arrivare.
Secondo le vostre esperienze professionali quali sono i vincoli, gli elementi e i temi che oggi influenzano maggiormente la progettazione nel settore dell’ospitalità?
Affidarsi alle soluzioni tradizionali e conosciute, rifugiarsi nelle convenzioni rischia di far apparire un brand obsoleto. I viaggiatori di oggi cercano autenticità e una certa “intelligenza concettuale” nel design dell’ospitalità. Per questo pensiamo che molte delle regole del branding necessitino un ripensamento e una ricomposizione per offrire nuove risposte alla contemporaneità, anche sfidando i vincoli che i grandi marchi dell’ospitalità spesso impongono e che rappresentano un freno all’esplorazione di nuovi percorsi.

Quanto sono importanti le vostre radici culturali e il dialogo con la cultura occidentale?
Quando eravamo più giovani affrontare il tema dell’identità culturale del design in tutto ciò su cui lavoravamo era estremamente importante. Il nostro processo creativo non è però stato influenzato in modo dominante da questo aspetto, ma è piuttosto il risultato naturale di ciò che siamo, da dove veniamo, e questo background inevitabilmente emerge in tutto ciò che facciamo. Oggi, di fatto, la “vena orientale” dei nostri progetti è per noi assai meno importante di quanto non lo sia in genere per i critici dell’architettura. Siamo il prodotto della nostra storia, ovviamente, che di certo influenza il nostro modo di pensare e progettare, le nostre passioni, così come le inclinazioni sociali e politiche derivano dall’educazione e dalle influenze relazionali, che complessivamente formano ciò che siamo come persone. Aspetti certo importanti, in quanto definiscono chi siamo in termini di collocazione all’interno di un contesto, ma più come riflessione a posteriori che come premessa “ideologica” del nostro lavoro.

Molte strutture ricettive mostrano caratteristiche comuni indipendentemente dalla loro localizzazione. Cosa ne pensate? Come si possono conciliare i valori del territorio, dell’ambiente, della cultura di un luogo specifico all’interno del progetto di una struttura ricettiva?
C’è spazio per questo tipo di approccio in quanto una grande percentuale di viaggiatori, indipendentemente dal luogo in cui si trovino, non desidera sorprese ma è alla ricerca del noto e familiare. Noi, tuttavia, prediligiamo l’unicità e la personalità, e perciò riteniamo importante che il segno e la cultura dei luoghi trovino spazio anche nei progetti più innovativi.

Quali linee guida orienteranno la progettazione alberghiera nei prossimi anni?
Riteniamo che il design sarà un fattore sempre più rilevante, in quanto la maggior parte degli operatori si sta rendendo conto che rappresenta un elemento fondamentale per la crescita della propria attività. Siamo anche convinti che gli standard dell’ospitalità diventeranno inevitabilmente più occidentalizzati, moderni, efficienti. Le due aree più significative destinate a mutare in misura importante saranno la programmazione funzionale degli hotel e la tecnologia. La prima diverrà più varia e inclusiva, e sempre più spesso le strutture ricettive ospiteranno funzioni originariamente non considerate né pianificate. Quanto alla tecnologia, già oggi strumenti come Uber e Airbnb stanno cambiando i modi del viaggio, e senza dubbio altre innovazioni contribuiranno a rivoluzionare completamente il concetto di hospitality design.