Studio NOA: più che un duo di architetti un network di architettura, una piattaforma in cui diverse discipline convergono per creare hotel capaci di raccontare delle storie, unendo natura e tradizioni. A fondarlo, nel 2010 a Bolzano, Stefan Rier e Lukas Rungger, giovani architetti e interior designer che prima di
Studio NOA: più che un duo di architetti un network di architettura, una piattaforma in cui diverse discipline convergono per creare hotel capaci di raccontare delle storie, unendo natura e tradizioni. A fondarlo, nel 2010 a Bolzano, Stefan Rier e Lukas Rungger, giovani architetti e interior designer che prima di incontrarsi avevano all’attivo diverse esperienze lavorative in Italia e all’estero, una su tutte quella nel prestigioso studio di Matteo Thun a Milano. Convinti che la classica figura dell’architetto non esista più, preferiscono fare da registi a un gruppo di lavoro in costante mutamento. Così, per trovare soluzioni innovative alle diverse sfide progettuali, coinvolgono di volta in volta grafici e stilisti, musicisti, psicologi ed esperti di storia che sappiano aiutarli a realizzare un prodotto unico, pensato espressamente per il luogo in cui sorgerà. Lo racconta Stefan Rier.
Cos’è NOA?
NOA è l’acronimo di Network Of Architecture e nasce a Bolzano nel 2010 intorno a me e a Lukas Rungger. Quando ci siamo incontrati avevamo entrambi viaggiato moltissimo: io avevo studiato in Italia, a Verona e Ferrara, mentre Lukas conosceva meglio il mondo anglosassone, avendo lavorato anche a Londra e New York. Così, quando abbiamo fondato il nostro studio, o meglio, la nostra rete, non volevamo darle il nostro nome, perché secondo noi non esiste più l’architetto alla Le Corbusier, quello che fa “dal cucchiaio alla città”, per usare un’espressione di Ernesto Nathan Rogers: esistono semmai diverse specializzazioni e ogni professionista porta il proprio mestiere alla perfezione. Ecco, io e Lukas siamo architetti – io anche interior designer – e in questo settore operiamo basandoci sulle conoscenze che abbiamo acquisito, mentre per tutti gli altri ambiti cerchiamo di coinvolgere un team di professionisti che ci aiutino a migliorare il prodotto finale. In questo senso NOA è una piattaforma multidisciplinare.

Quando avete cominciato a progettare hotel?
Io avevo già iniziato a farlo nel 2000, quando con Hugo Demetz – che mi ha insegnato moltissimo – ho fatto il primo rilievo generale, seguito da un ampliamento, dell’Adler, a Ortisei. Da quel momento in poi ho disegnato più o meno un albergo ogni anno, fino a diventare, con NOA, un network specializzato nella progettazione di hotel. Ciò che ci affascina è soprattutto la complessità di questo tipo di lavoro: a differenza di una casa infatti, ci sono da disegnare tutti i percorsi dei dipendenti da una parte e tutti quelli degli ospiti dall’altra, oltre naturalmente a una serie di funzioni, dalle camere da letto alle piscine.

Come nascono i vostri progetti?
La prima cosa che facciamo è sicuramente un sopralluogo. Mi preme sottolineare che NOA non è caratterizzato da uno stile: ci sono piuttosto una diversità di stili che sono il risultato delle esigenze del cliente che vive il territorio e del territorio stesso, delle sue caratteristiche. Intorno a questo insieme di fattori andiamo non solo a realizzare un progetto con una sua estetica precisa, ma anche a costruire una storia.
I nomi dei vostri hotel infatti sembrano quasi titoli di romanzi: quanto conta la dimensione narrativa nell’universo della progettazione?
È una delle cose che mi ha sempre affascinato di più fin dai miei studi universitari: quello che vogliamo non è soltanto creare degli edifici, ma fare in modo che essi interagiscano con le persone, confrontandosi con loro, perché attraverso una storia che attinge dalla tradizione si crea un legame profondo e duraturo tra lo spazio e chi ne usufruisce. Anche per questo cerchiamo di essere sostenibili: perché vogliamo che i nostri hotel durino nel tempo.

È davvero così importante oggi essere green?
Abbiamo una grossa responsabilità nei confronti delle future generazioni: per questo riteniamo che il tema oggi sia più importante che mai. Il problema si pone quando, da approccio di marketing, il green, che al momento è ancora una ricerca in fase di sviluppo, diventa una regola, come succede in Alto Adige. Credo che essere green e sostenibili abbia senso all’interno di una logica meno burocratica e più di responsabilità civica. L’albergo che apriremo a dicembre sull’Alpe di Siusi, per esempio, non è illuminato esternamente, ma ogni ospite ha il compito di prendere una lampadina dalla casa madre e di portarla con sé lungo il percorso verso il proprio chalet. Ecco, questo per noi è green, perché utilizzare delle fonti di energia alternative all’olio per il riscaldamento o la coibentazione della casa dovrebbe essere ovvio.

Qual è il vostro rapporto con la natura?
Siamo entrambi nati e cresciuti nella natura, in particolare io. Oltre che con la natura però abbiamo un rapporto molto forte con la tradizione, che in Alto Adige è molto sentita, soprattutto a livello estetico. E’ proprio da questo canone che partiamo – il cosiddetto genius loci – analizzando cosa c’è nei dintorni, facendo foto, studiando le diverse tipologie costruttive e la loro evoluzione nel tempo. Da lì facciamo un progetto vero e proprio in cui la relazione con il paesaggio circostante e la scelta dei materiali sono fondamentali. La Messner Haus, nel centro storico di Siusi allo Sciliar, ne è un esempio: per realizzarla siamo partiti dalla classica tipologia del fienile e dai sistemi costruttivi che storicamente sono stati utilizzati al suo interno. Il progetto però trae ispirazione anche da un ricordo d’infanzia, ovvero dal gioco di un bambino, che ero io, di saltare nel fieno. Il punto di partenza è stato quindi il fienile – la storia della sua estetica vista attraverso gli occhi di un bambino – che poi abbiamo modificato, anche perché le tipologie costruttive attuali sono più efficienti rispetto a quelle di trent’anni fa. Tradizione infatti non vuol dire soltanto rifare, ma anche evolversi.

Avete spesso lavorato all’ampliamento e al rinnovamento di strutture esistenti: quali sono le maggiori difficoltà riscontrate in questo tipo di interventi?
Lo sviluppo di un albergo procede sempre per step: uno dei primi passi è ordinare tutta l’industria che sorge all’interno di quello che da fuori appare soltanto come un bellissimo guscio. Organizzare questo apparato, che deve essere invisibile e al tempo stesso efficiente per dare all’ospite tutti i servizi di cui ha bisogno, è la maggiore difficoltà, perlomeno all’inizio. Una volta fatto questo, si procede ad analizzare il territorio, sviluppando un progetto capace di creare la giusta sinergia tra i concept architettonici e le funzioni.
Come coniugate la vostra creatività con il budget che avete a disposizione?
Inizialmente facciamo un progetto escludendo la parte economica, che viene inserita successivamente. Pensiamo infatti che sia più proficuo cominciare con l’immaginare gli sviluppi futuri dell’albergo. Le faccio un esempio: chi si rivolge a noi spesso ci chiede un ampliamento, supponiamo, di una decina di camere, qualche area wellness e così via. A questa richiesta noi rispondiamo di no, chiedendo invece al cliente quali saranno secondo lui gli sviluppi dei successivi vent’anni del suo hotel e cosa realmente intende migliorare. Una volta appurato questo, facciamo uno studio di fattibilità che per forza di cose, nella fase iniziale, supera il budget a disposizione. A questo punto inseriamo i parametri economici, riducendo il progetto al business plan dell’albergatore e cercando il primo lotto edificativo.

Come immaginate l’hotel del futuro?
Sicuramente un luogo piccolo dove ogni giorno l’ospite ha la possibilità di relazionarsi con l’albergatore che gli mostra il suo territorio e gli insegna a viverlo come lui lo vive. Non ci interessa il turismo degli anni Novanta, quello dei grandi club per capirci, perché riteniamo che la gente che va in vacanza cerchi soprattutto esperienze e cultura locale. In questo senso l’albergatore ha una grandissima responsabilità.

E la vostra prossima sfida progettuale?
Vogliamo riuscire, a proposito di green, a creare un albergo nel Nord Italia – un po’ più a sud dell’Alto Adige, ma non posso ancora rivelare dove – che sia completamente autonomo, che non necessiti di aria condizionata e in cui tutti gli ospiti stiano comunque benissimo. Tutta un’altra architettura insomma, qualcosa di completamente innovativo: questa sarà la nostra sfida dei prossimi tre anni almeno.