Protagonisti
Tristan Auer

“Un architetto su misura e sensibile alle ere del tempo che, fin dal primo sguardo, ha sentito l’anima e l’essenza di questo luogo mitico”: così Le Figaro scriveva a proposito di Tristan Auer e del suo progetto per il Les Bains a Parigi. Un progetto ipnotico che lo ha reso celebre in tutto il mondo. Celebre e ricercato, al punto che attualmente sta progettando sette nuovi hotel e una decina di residenze private

 “Les Bains è stato una sorta di incidente magico!”: tra Tristan Auer e Les Bains è stato “un incontro di visioni comuni, di sensibilità convergenti. Un architetto su misura e sensibile alle ere del tempo che, fin dal primo sguardo, ha sentito l’anima e l’essenza di questo luogo mitico”. Così si legge sul sito tristanauer.com a commento delle foto che illustrano quello che il quotidiano Le Figaro ha definito “un’esperienza totale, un luogo ibrido, che si ricollega alla leggendaria discoteca degli Anni 80, ma che è anche un hotel di lusso, con ristorante e bar”. Les Bains, con il suo look ipnotico, è appunto una delle tante realizzazioni di successo di Tristan Auer, architetto celebre in tutto il mondo, già consacrato designer dell’anno a Maison&Objet nel 2017. “Prima ancora dello stile, è il comfort il fine del mio mestiere”, dichiarava in quell’occasione.

Collezionista d’auto e appassionato al punto da creare Car Tailoring, progetto di personalizzazione degli interni di automobili, Tristan Auer ha seguito, per quando riguarda l’interior design, una formazione al tempo stesso classica ed esemplare: terminati gli studi a Penninghen, università parigina che conferisce lauree in Direzione artistica e in Architettura d’interni, la sua iniziazione al mestiere è avvenuta in due degli studi più famosi di tutta la Francia, quello di Christian Liaigre prima e di Philippe Starck poi. Nel 2002 ha fondato il suo studio, che impiega attualmente una ventina di persone e attorno al quale ruotano complessivamente 40 architetti e artigiani.

Les Bains a parte, lei ha curato gli interni di tanti altri hotel di lusso e di molte case e appartamenti prestigiosi. C’è una differenza d’approccio nell’occuparsi di uno spazio di transizione o di uno spazio privato?

Per quanto mi riguarda l’approccio è identico: mi metto completamente al servizio di un progetto, senza alcun pregiudizio né idee preconcette e mi applico a realizzare sempre interni su misura. In altre parole, qualunque sia il progetto, facciamo quel che dobbiamo fare per il bene e per il benessere dei nostri clienti: se ci si pensa bene, il senso del nostro intervento è fare in modo che le persone siano circondate dal migliore ambiente possibile e che si sentano perfettamente a proprio agio. A casa loro, ma anche in un albergo.

C’è, tuttavia, uno stile Tristan Auer? E, in tal caso, da cosa si può riconoscere? Esiste, insomma, una sorta di fil rouge che lega i suoi lavori?

Confesso che non sono in grado di definire il mio stile, altri lo fanno. Se c’è un fil rouge penso che si potrebbe definire come una sorta di sensualità che nasce e cresce attorno a un determinato luogo, un’intelligenza delle cose e degli ambienti, unita a una gran voglia di esplorare gli spazi…

… e di raccontare talvolta una storia, come sembra per esempio il caso del Sinner, a Parigi, nel Marais?

Il Sinner è in effetti un progetto molto mio: l’albergo andava inserito in una storia comune e singolare, quella di un quartiere dai mille volti, con un passato ecclesiastico, poi aristocratico e oggi zona nel cuore della creazione. Un hotel è uno spazio particolare, perché pur essendo uno spazio commerciale, è destinato ad accogliere persone, perciò, a mio avviso, l’ideale è in qualche modo riuscire ad accompagnare gli ospiti lungo un percorso che idealmente può essere proprio una storia. Nel caso del Sinner era davvero necessario renderlo differente da qualsiasi altro albergo e, come ho detto, è stato in effetti un progetto molto personale, con un impatto anche abbastanza forte. Tuttavia anche nel caso del Crillon abbiamo lavorato in un senso che, nel 2015, quando ce ne siamo occupati, ancora nessuno aveva esplorato: abbiamo cioè rivisitato i codici del classicismo. Perché quello che mi attira è l’incognito, quello che non conosco.

Come nutre la sua immaginazione?

A me pare che il motore principale di questo mestiere sia la curiosità: sperimento, guardo, mi informo, ci informiamo. E mi rifaccio molto alle sensazioni dell’infanzia.

E qual è il suo punto di partenza? I materiali?

Sì, senz’altro. In studio abbiamo una materioteca, dove tantissimi tipi di materiale sono disposti in ordine casuale, perché, a volte, uno scontro improvviso e sconcertante di due materie diverse può dare l’impulso creativo che si cercava. Certo, questo non significa improvvisazione. Al contrario, soprattutto quando si comincia, è necessario avere molta concentrazione e fare molta ricerca, ma poi viene la fase dell’abbandono.

Parliamo di colori: sembra di notare che in moltissimi dei suoi progetti c’è una nota ricorrente, una sorta di blu Klein, magari un piccolo particolare, un quadretto che cattura l’occhio…

È proprio un blu Klein, sì. È una cosa così, un tocco personale: ho moltissima ammirazione per Yves Klein e mi piace introdurre quella sua bellissima nota di colore. Tra l’altro il blu Klein è un blu elettrico e questo piccolo segno è anche un po’ un modo di introdurre dell’elettricità negli ambienti.

Che si tratti di alberghi o d’altro i suoi sono sempre progetti di lusso: a suo avviso è cambiato il lusso? Come?

C’è stato indiscutibilmente un cambiamento, dovuto alla realtà di questo nostro mondo: non vale più la pena possedere oggetti carissimi che teniamo nascosti, magari chiusi in un cassetto, e molta gente se n’è accorta. In questo senso credo ci sia stata una presa di coscienza generale, collettiva: un prodotto che non serve non è più d’attualità. Per di più il mio concetto di lusso è un concetto di lusso su misura, qualcosa che si incolla alla pelle, dunque penso sia meglio avere meno cose ma più appropriate, più personali. Tra l’altro, se si riflette, è anche un vero gesto ecologico: quando si tratta di oggetti unici, creati da artigiani d’arte, si tratta di oggetti che possono essere riparati, modificati, e che sono destinati a durare nel tempo. Credo che in questo senso il lusso stia andando nella giusta direzione, quella della coscienza dell’atto, e credo che questa sia una novità enorme. La parola d’ordine di questo nuovo concetto di lusso è in un certo qual modo: meno acquisti e più utilizzazioni.

Tra le ultime realizzazioni c’è anche l’hôtel Scribe a Parigi, riaperto dopo un restyling completo, mentre tra i progetti in corso figurano lo Shangri La di Hong Kong, il Four Seasons a Dubai, il Mandarin Oriental a Zurigo, una casa da 3 mila metri quadri a Los Angeles, una villa in Giordania… altro?

Sì, ci sono in progetto altri alberghi di cui ancora non sono autorizzato a parlare. Quel che posso dire è che in totale sono in programma altri sette hotel e una decina di case.

C’è un progetto che le piacerebbe realizzare? Qualcosa che sogna di fare, ma non ha ancora mai fatto?

Mi piacerebbe realizzare uno scenario cinematografico. Sono un grande appassionato di cinema, affascinato dalla sorpresa del cinema. Amo grazie al cinema e penso che tra chi realizza i decori e gli arredi di un film si celino in un certo senso i migliori interior designer.